VILLAFALLETTO - Villafalletto: storia di una comunità. I terribili anni della guerra

Il conte Falletti, i Buganè e i Lingua. Tanti personaggi della travagliata storia del paese raccontati da Giacomo Barbero

Federico Mellano 03/08/2023 10:00

Sono passati ottant’anni dalla tarda estate del 1943 in cui, tra la caduta del fascismo e l’armistizio dell’otto settembre, iniziò un’epoca storica inedita per il nostro paese. In ogni angolo del Cuneese, migliaia di storie premono per essere raccontate, prima che il tempo cancelli ogni ricordo. Così ha fatto Giacomo Barbero, storico barbiere di Villafalletto, all’epoca ragazzo, che, nella sua raccolta di memorie “Un Barbiere Racconta…”, ha delineato gli aspetti peculiari della comunità villafallettese, mettendone in evidenza particolarità, paradossi e contraddizioni, cercando sempre di mantenere un profilo neutrale anche nei periodi più drammatici della storia.
 
Barbero racconta i confusionari avvenimenti dell’arresto di Mussolini e del proclama Badoglio, preceduti da tre anni di guerra disastrosa in cui “si viveva come talpe”, costretti alla totale oscurità a causa delle incursioni aeree. L’unico drammatico spettacolo era quello offerto dai bombardamenti su Torino, visibili dal ponte del Maira: “Quello sciabolare di riflettori che cercavano di scorgere la sagoma della fortezza volante, le scie delle pallottole traccianti della contraerea, gli scoppi delle granate su nei cieli e le vampate rosse delle bombe lanciate degli aerei eccitavano i ragazzini; intanto le donne, con le lacrime agli occhi, recitavano il rosario, pensando a quante persone innocenti sarebbero stati uccise in quella maledetta notte”.
 
Dopo l’8 settembre, a Villafalletto “arrivarono molti militari appartenenti alla Quarta Armata, di stanza in Francia, sbandatasi perché priva di comando”. Barbero, a proposito, ricorda la cattura di una trentina di alpini da parte dei tedeschi nel centro del paese. Uno di essi, Beniamino Dinca, originario di Belluno, fuggì nei pressi di Monsola, dove fu ospitato da una famiglia del luogo, i Rosso. A proposito di questo periodo, si ricorda un particolare curioso: le tante divise militari abbandonate furono trasformate dai sarti e dalle sarte in vestiti ricercati. Con la liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi, guidati dal capitano delle SS Otto Skorzeny, agli occupanti si aggiunsero i neofascisti repubblicani rappresentati, a Villafalletto, dal podestà, il conte Corrado Falletti, “che era pure presidente del Consorzio Agrario di Cuneo”. Falletti, divenne autorità di riferimento del Partito fascista repubblicano e fu nominato vice federale - e non federale, come scrive Barbero, essendo questa carica ricoperta da Secondo (Dino) Ronza, nato ad Asti il 3 dicembre 1910 e ucciso dai partigiani a Castelfranco Emilia il 15 maggio 1945. Al conte, inoltre, fu assegnata una scorta armata di militi fascisti, appartenenti alla Squadra d’azione Ettore Muti: “Comandava questa squadra [Giuseppe] Buganè, mi pare fosse romagnolo, appassionato musico, tanto che si dette da fare per mantenere viva la nostra vecchia e gloriosa banda musicale”. A lui si aggiunsero altri militi, alcuni dei quali direttamente responsabili di angherie e uccisioni: Aldo Schirinzi, Gian Vittorio Brambilla, Lorenzo Lingua (chiamato Renzo), un certo Presti - “una persona delle più malvagie, brutto e zoppo” -, Terenzio Farina e il milite Brambolini. Essi furono raggiunti in seguito da Alfredo Cuproli, nato a Savona il 22 febbraio 1913: pareva “che operasse in piena autonomia, cioè non al comando di Buganè”.
 
La situazione in paese era incandescente poiché “le attività dei partigiani nelle vallate cominciavano a creare qualche preoccupazione ai repubblichini e ai tedeschi”. I nazifascisti iniziarono a rispondere con le rappresaglie anche a danno della popolazione civile. Il 9 dicembre, in seguito al raid partigiano di Mellea, che costò la morte del giovane patriota Giovanni Ramero, i tedeschi di stanza all’aeroporto di Levaldigi, comandati dal famigerato maggiore Kurt Ubben, entrarono a Villafalletto e presero in ostaggio alcune persone, che furono percosse dai soldati. In tale circostanza è poco chiaro l’atteggiamento del conte: secondo la testimonianza del geometra Emiliano Del Pozzo, fu proprio lui a indicare le persone da arrestare (non trovandole i nazisti prelevavano le mogli), mentre Barbero non cita l’episodio.
 
La sera del 24 dicembre un altro avvenimento tragico sconvolse il paese. Alcuni ribelli (probabilmente appartenenti alla banda Menelik non riconosciuta dal Cln e capitanata da Bernardino Cucchietti), scesero a Villafalletto. “Si erano recati dai Sorasio per farsi consegnare dei cavalli” e, dopo aver rinunciato al proposito, “andarono dalla famiglia Cadorna, che gestiva la cascina di proprietà della famiglia Brunetti, con l’intenzione di penetrare a loro danno la rapina”. La moglie riuscì a fuggire senza essere notata e chiamò i carabinieri: nel conflitto a fuoco che seguì rimase gravemente ferito il militare Giovanni Brucini, originario del Pisano, che sarebbe morto poco tempo dopo all’ospedale di Villafalletto. Nel corso dell’azione venne catturato un membro della banda, Giovanni Michele Ballario, nativo di Vottignasco. Trasportato a Cuneo, fu fucilato il 9 gennaio 1944, dopo essere stato brutalmente seviziato. Il 5 gennaio 1944, i nazifascisti, forse in seguito a questo episodio, misero in atto il famigerato eccidio del Ceretto, in cui furono uccise 27 persone. Due erano di Villafalletto, più precisamente della frazione Termine: Francesco Giordanino e Giuseppe Aimar, “quest’ultimo titolare dell’osteria della frazione e l’altro un suo amico e assiduo frequentatore”. Furono trucidati dai soldati tedeschi alle porte di Costigliole Saluzzo, dopo essere stati prelevati e caricati su un autocarro. Negli stessi giorni una banda criminale terrorizzava il paese, in particolare la zona di Cantarane, “perpetrando rapine di denaro e generi alimentari”. In particolare “furono prese di mira la famiglia Salvagno, la famiglia Mondino, la famiglia Ballatore, la famiglia Martini”. Il racconto testimonia come fosse difficile distinguere i partigiani dai delinquenti comuni, in un clima di confusione pressoché totale. In seguito alla denuncia del contadino Giuseppe Bertero, “che aveva ottimi rapporti di amicizia con il conte Falletti”, fu arrestato Angelo Teston - non si sa se a torto o a ragione -, originario del Trevigiano, ma residente a Verzuolo e probabilmente disertore di qualche unità della Repubblica sociale. Morì il 6 marzo del 1944, “trovato impiccato nella nostra caserma”.
 
Esattamente tre giorni dopo, il 9 marzo, avvenne il fatto di sangue che rimase impresso più a lungo nella storia di Villafalletto. Quel giorno furono uccisi due giovani partigiani, Umberto Giovenale Lamberto (nome di battaglia Gucia) originario di Centallo e appena ventenne, e Roberto Blanchi di Roascio (Roberto), nato a Dronero e più vecchio di due anni. “Verso le 17.35 Renzo Lingua si trovava all’incrocio fra corso Umberto e via Ruderi del castello […] proveniente dal vecchio ponte sul Maira arrivava un camioncino balilla; il Lingua gli fece segno di fermarsi, il camioncino rallentò per venire a fermarsi 50 metri più su”. Il fascista iniziò a perquisire il mezzo: “Quando costui alzò il telone sì senti bene: ‘Mani in alto!’ Intimato da una persona all’interno del cassone”. Lingua, al posto di arrendersi, iniziò a crivellare di colpi Lamberto, colpendo anche Blanchi di Roascio, che era alla guida del mezzo. Il primo morì sul colpo, mentre il secondo si spense all’ospedale di Saluzzo poche ore dopo, raggiungendo il fratello Paolo, caduto in Unione sovietica nel gennaio del ’43. La follia di quel giorno e lo sprezzante valore che i fascisti attribuivano alla vita umana è dato dal fatto che Lingua si vantò anche in pubblico di aver provocato la morte di due uomini. Una sera, durante la proiezione di una pellicola per ragazzi, “Buganè fece interrompere la proiezione e invitò i ragazzi ad applaudire, dopo averlo fatto salire sul palco, Renzo Lingua per il suo eroico comportamento, secondo il suo punto di vista, naturalmente”.
 
Il paese di Villafalletto visse altri momenti di estrema tensione. Il conte Falletti fu fatto oggetto di attacchi da parte dei partigiani due volte, una in pieno centro e l’altra nei pressi di Boschetti sulla strada per Centallo. Si registrò anche l’uccisione di un soldato tedesco a Tarantasca e uno scontro a fuoco tra fascisti e nazisti. In tutti i casi non si verificarono rappresaglie. Il 24 aprile gli squadristi - alcuni dei quali erano confluiti nella Brigata nera “Edoardo Lidonnici” di Cuneo - abbandonarono il paese. Non seguì i camerati il brigatista Alfredo Cuproli, che si era nel frattempo sposato con una villafallettese. Fu rintracciato il giorno successivo nei pressi di Santa Cristina di Tarantasca, catturato e ucciso durante un tentativo di fuga. Il suo giubbotto in pelle, simbolo di un predominio durato 19 mesi, fu portato a Villafalletto come trofeo. Sorte simile era già toccata a Terenzio Farina, ucciso a Centallo il 16 aprile in un agguato.
 
La notte del 25 (o più probabilmente tra il 27 e il 28 aprile) i tedeschi, che avevano occupato nuovamente il paese, uccisero il civile Giovanni Battista Risso. Oggi una lapide scolorita in corso Umberto, che aspetta di tornare alla luce, ricorda Umberto Giovenale Lamberto e Roberto Blanchi di Roascio, morti così giovani per la libertà. Il loro assassino fece perdere le tracce, aggregato, si dice, alla Legione Straniera e morto in Indocina.

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