CUNEO - Gli uomini della Repubblica di Salò nel Cuneese: dal famigerato "Pavan" al tenente Ettore Salvi

Nel nostro territorio, sotto il manto protettivo dell’occupazione germanica, hanno imperversato le più varie formazioni armate fasciste, spesso differenti per origini ma unite da famigerate condotte, come riportano le testimonianze dell’epoca

Il famigerato "Pavan"

Federico Mellano 10/04/2022 09:03

L’8 settembre 1943 fu sicuramente un trauma collettivo per la nostra storia: ovverosia il giorno in cui, con la dissoluzione del Regio Esercito e l’occupazione tedesca dell’Italia del centro e del nord, ognuno si trovò a dover compiere delle scelte individuali che avrebbero caratterizzato fino in fondo la propria vita. A Cuneo, i tedeschi appartenenti alla 1ª divisione SS Leibstandarte arrivarono il 12 settembre, stesso giorno in cui un kommando germanico liberò Mussolini, prigioniero a Campo Imperatore. Mentre molti ex soldati italiani si rifugiavano in montagna per sfuggire a prigionia certa in Germania, altri seguirono immediatamente il Duce liberato, il quale, tuttavia, non era che un uomo ombra, prigioniero dei tedeschi e assolutamente dipendente dall'apparato militare germanico. 
 
La storia del cuneese si intreccia quindi profondamente con le vicende italiane. Come nel resto d'Italia, l'apparato fascista repubblicano fece non poca fatica a costituirsi e dotarsi di una legittimità. I fascisti più intransigenti chiedevano la morte dei traditori, esigevano la formazione di un esercito di partito su modello delle SS tedesche, per domare più facilmente il fenomeno del ribellismo partigiano. Fu così che nacque la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), attorno alla quale orbiteranno i famigerati Uffici Politici Investigativi (UPI). 
 
Il ruolo, che la GNR assunse nella lotta anti-partigiana, fu determinante nell’escalation della guerra civile. Nella nostra provincia, tra il novembre e il dicembre del 1943, caddero già una ventina di fascisti, la maggior parte appartenenti alla Guardia. In particolare i partigiani eliminarono gli esponenti di punta del primo fascismo repubblicano: Edoardo Cumar, Oreste Millone e il segretario del Fasci Repubblicani di Saluzzo, Edoardo Lidonnici. Gli uomini della GNR, d’altro canto, si resero responsabili di ritorsioni e rappresaglie, come quella di Sommariva del Bosco, del 25 giugno del 1944, e le retate del saluzzese in cui fu arrestata, tra gli alti, Maria Luisa Alessi. 
 
L’operato della Guardia, tuttavia, non soddisfò i vertici del Partito Fascista Repubblicano, per via delle massicce diserzioni e della scarsa motivazione ideologica. Con l'estate del 1944, dopo la caduta di Roma, i vertici della RSI si resero conto della totale ostilità della popolazione e della propria impotenza di fronte alla sempre più forte presenza partigiana. Il segretario del Partito Fascista,  Alessandro Pavolini, uomo fanatico e brutale, divenne il fautore della militarizzazione del partito e comandante supremo delle Brigate nere. 
 
A Cuneo il federale Secondo (Dino) Ronza, con l'assenso del prefetto Antonio Galardo, formò la V Brigata nera, intestata al quel Lidonnici, giustiziato dai partigiani a Calcinere di Paesana sette mesi prima. Sotto i teschi degli uomini della “Lidonnici”, a Cuneo e nei dintorni, tra l’estate del ’44 e l'aprile del ’45, si vissero mesi di terrore. Gli uomini della Brigata nera erano egemoni negli Uffici dell’UPI di via IV novembre (dove ora si trova la sede di Confartigianato) e condussero spietati rastrellamenti. Erano probabilmente della “Lidonnici” quei brigatisti che assassinarono spietatamente l’anziano avvocato Alfredo Cussino a Genola la sera del 29 luglio 1944 e, sempre della stessa formazione, coloro che uccisero, dopo averle seviziate, tre donne a Crava di Morozzo nel febbraio del 1945. 
 
Tra gli uomini più brutali si possono citare i fratelli Carlo e Giovanni Ferrari, Tommaso Brachetti, Silvio Bellinetti, Vittorio Visconti Prasca, Pietro Botticchio, Michele Plunari, Angelo Badinelli, Franco Pansecchi, Attilio Zanaboni, Eugenio Machetti, Lorenzo Steider (detto “Franchi”) e Giuseppe Roattino, tutti Brigatisti e agenti dell’UPI. Essi si macchiarono dei più disumani crimini: l’impiccagione di Lorenzo Spada a Demonte il 21 agosto del ’44, la rappresaglia di San Chiaffredo di Busca di settembre, le innumerevoli fucilazioni sulle mura del cimitero di Cuneo, l’uccisione a tradimento di due partigiani a Beinette, le atroci torture dei prigionieri, la selezione dei “morituri”del 26 novembre nell’attuale Piazzale della Libertà e, soprattutto, la morte di Galimberti. 
 
Tuttavia non soltanto i corpi ipotizzati della Repubblica fascista si distinsero in crudeltà e determinazione nella guerriglia. Anche gli uomini dell'Esercito Nazionale Repubblicano che, seppur pensato da Rodolfo Graziani - ministro della difesa dello Stato fascista - come “nazionale e apolitico”, si dimostrò altrettanto determinato nel combattere i partigiani. Ne danno conferma gli uomini del battaglione “Bassano” della divisione alpina “Monterosa” e quelli della divisione granatieri “Littorio”. 
I primi furono tristemente noti in Valle Varaita tra la fine del ’44 e l’inizio del ’45, quando il comandante del battaglione Molinari decise la formazione di un’unità sperimentale di “controbanda”, la quale avrebbe dovuto anche infiltrarsi tra le bande partigiane, vestendo panni borghesi. Questa unità fu comandata dal famigerato Adriano Adami, detto “Pavan”, il quale diverrà particolarmente inviso ai patrioti proprio per i metodi spietati adottati. L'attività del Bassano culminò con l’eccidio di Valmala tra il 5 e il 6 marzo del 1945, atto che ebbe come conseguenza numerose “rese di conti” nei confronti degli alpini della “Monterosa” in seguito alla Liberazione. Lo stesso Adami, dopo la Liberazione, fu brutalmente giustiziato. 
 
Pure i soldati del tenente Ettore Salvi si macchiarono di crimini inenarrabili. Il Salvi, ufficiale di polizia militare della divisione “Littorio”, amava presentarsi come autorità assoluta e indiscussa nella zona di Borgo San Dalmazzo, ordinando spietati rastrellamenti ed esecuzioni a danno di partigiani o presunti tali. In particolare, nel febbraio del ’45, lui e i suoi uomini fecero scempio del corpo del partigiano Giovanni Lovera. 
 
Anche gli “arditi” della Questura di Cuneo, semplici poliziotti che avrebbero dovuto svolgere mansioni di pubblica sicurezza, non si sottrassero alla crudeltà. Furono proprio loro, infatti, guidati da Dante Frezza, a rendersi responsabili del noto eccidio della “Candelora” a San Benigno, il 2 febbraio 1945. Alla vigilia del crollo finale, i principali esponenti del fascismo cuneese, compresi il prefetto Galardo e il federale Ronza, fuggirono da Cuneo con le proprie famiglie, insieme a circa duecento esponenti delle RSI. I più feroci criminali, a parte Ettore Salvi - unico condannato a morte nei processi del dopoguerra , videro le proprie pene ridursi e poi estinguersi per le varie amnistie concesse nel corso degli anni. È stata inoltre dimostrata la compartecipazione di tutte le unità della Repubblica Sociale nelle attività antipartigiane, nonostante le diverse nature e finalità delle stesse.

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