CUNEO - Il cuneese che insegna ai napoletani come fare la pizza e si autoproclama “genio”

Flavio Briatore, nato a Verzuolo e noto in provincia per le sue attività giovanili (quando era soprannominato il “Tribula”), ha fatto arrabbiare i pizzaioli napoletani per le sue affermazioni discutibili: “Chi fa pagare una pizza 5 euro cosa ci mette?"

Flavio Briatore

Samuele Mattio 23/06/2022 11:29

Sulle colonne del Corriere della Sera, Massimo Gramellini ha tracciato un ritratto di Flavio Briatore tanto spietato quanto efficace: “Un cuneese che pretende di insegnare i segreti della pizza a chi l’ha inventata, come se un napoletano spiegasse ai Ferrero in che modo si impasta il cioccolato con le nocciole”.
 
La polemica è arcinota, poiché ha fatto il giro del web e dei principali mezzi d’informazione. In un lungo intervento su Instagram il “Tribüla” - soprannome affibiatogli in gioventù dalle parti di San Giacomo di Roburent - ha difeso i prezzi delle sue pizze. Si fa un gran parlare della margherita venduta a 15 euro, ma ce n’è per tutti i gusti, arrivando fino ai 65 euro. Sottolineando che nel suo Crazy Pizza si usano solo materie prime di qualità, Briatore elenca i prezzi degli ingredienti, dal Pata Negra alla mozzarella di bufala. La frase più contestata - e che ha suscitato la reazione dei pizzaioli napoletani - è però un’altra: “Chi fa pagare una pizza 4-5 euro cosa ci mette dentro?”.
 
Passi la difesa del proprio operato, d’altronde anche dalle nostre parti non è raro trovare pizze a quel prezzo. Il seguito è più discutibile: “L’Italia è un Paese di gelosi - continua l’imprenditore nella sua invettiva -. Noi andiamo benissimo. Ragazzi siete degli invidiosi e io vi adoro perché mi fate una pubblicità della Madonna. Io sono un genio e voi non lo siete”. Spesso Briatore è solito postare sui social foto mentre si rilassa in piscina, ma a questo giro non gli farebbe male bagno d’umiltà, o quanto meno prendere nota del passo più noto dell'Imitatio Christi: “O quam cito transit gloria mundi”. Non ci azzardiamo a suggerirgliene la lettura, in quanto sappiamo di non rivolgerci a un divoratore di libri. Forse a lui sarebbe più congeniale il vecchio detto “j asu d’Cavour je gniun ca i lauda, as laudu da lur”, a meno che non se ne vergogni troppo.  D’altronde non è la prima volta che il Nostro sputa nel piatto in cui ha mangiato. Nato a Verzuolo, ha poi seguito i genitori insegnanti elementari a Montaldo di Mondovì e ha anche un fratello con una fattoria a Saluzzo, ma sono luoghi in cui non torna più da tempo. Questione di “location”, aveva rivelato qualche anno fa a Repubblica: "Se nasci in mezzo al Congo mica vorrai dire di essere stato fortunato. Io non sono nato in Congo, ma tra quelle montagne già da bambino avvertivo un certo malessere, sentivo che ero uno senza radici. Quando mi domandavano che cosa volessi fare da grande, se il pompiere, l'avvocato o il notaio, rispondevo che volevo prima di ogni altra cosa andare via da quelle asperità, da quelle fatiche, da quei sacrifici". Stia tranquillo, anche dalle nostre parti c’è un certo malessere nel sentire quell’accento piemontese in giro per il mondo, non sia mai che qualcuno pensasse che da queste parti siamo tutti così.
 
In ogni caso - Briatore se ne faccia una ragione - rincari delle materie prime e dell’energia permettendo, la pizza resta un piatto povero. Come ce ne sono tanti nella tradizione gastronomica del nostro paese. Il voler a tutti costi “nobilitarlo” con ingredienti che non c’entrano una fava per pure ragioni economiche è un’operazione commercialmente legittima, ma almeno il “self made man” di Verzuolo potrebbe risparmiarci il teatrino da “che schifo i poveri”. E chissà che un domani non gli venga in mente di rivalutare alcuni piatti umili della tradizione piemontese, magari proponendo nei suoi ristoranti ricette tipo “caviale e bagna cauda”. D’altronde, si sa, la mente dell’autoproclamato genio è in perenne fermento.

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