CUNEO - Il pastore Gelindo: il racconto natalizio piemontese che nessuno ricorda più

Ricostruiamo l’iconica storia dell’uomo che dalle Langhe partì per raggiungere Betlemme nei giorni della Natività

Il pastore Gelindo in una rappresentazione degli anni '60

Micol Maccario 27/12/2022 16:15

Le tradizioni sono parte della nostra cultura ma, con il passare del tempo, molte vengono dimenticate per sempre. È quello che sta accadendo alla storia del pastore-contadino monferrino, originaria di 400 anni fa e oggi quasi sconosciuta 
 
Gelindo è il pastore-contadino che per primo arriva alla capanna di Betlemme portano doni e assistenza a Gesù appena nato. Quello di Gelindo è uno dei tradizionali racconti piemontesi, che per anni è stato tramandato in tutta la regione, ma che oggi ricordano in pochi. Questo bizzarro personaggio è il protagonista di una rappresentazione nota come la “Divota Cumedia” o “Devota Commedia”, uno spettacolo in lingua piemontese che alterna momenti seri a scene più spiritose.
 
Gelindo - il cui nome richiama il gelo invernale - è rappresentato come un uomo bonaccione, semplice e testardo, talvolta un po’ ingenuo, difensore degli usi antichi. Incarna con un velo ironia il carattere brontolone e semplice tipico di coloro che vivevano nelle campagne nei decenni passati. Al centro della trama c’è la necessità del protagonista di partire dal Monferrato e raggiungere Betlemme per il censimento indetto dall’imperatore romano Ottaviano Augusto. La sua partenza però è continuamente ostacolata da situazioni più o meno comiche. Il pastore vorrebbe partire per il suo viaggio ma ogni volta o dimentica qualcosa o torna indietro per fare raccomandazioni alla moglie perché non si fida di lei. A un certo punto, dopo una serie di divertenti peripezie, finalmente riesce a partire per raggiungere Betlemme. Giunto nella città incontra Giuseppe e Maria e li aiuta a cercare una sistemazione per la notte. Quando, successivamente, ai suoi occhi si presenta la cometa, capisce subito che Maria non era una donna qualsiasi. Decide quindi di tornare indietro per vedere il bambino e portare dei doni.
 
Nell’iconografia del presepe viene rappresentato come il pastore anziano che porta un agnello in spalla, indossa pantaloni di panno al ginocchio, gilet e camicia, tiene in mano una zampogna, un cesto e, come vuole la storia, è il primo personaggio di fronte alla capanna.
 
È così famoso da aver generato veri e propri modi di dire tra i piemontesi. “Gelindo” indica una persona semplice ma di buon senso, mentre “a ven Gilind” significa “arriva il Natale” e “Gelindo ritorna” è un detto indirizzato a chi cerca di fare qualcosa ma ogni volta torna sui suoi passi senza aver concluso niente. E se ci si riferisce a qualcuno apostrofandolo con il nome “Maffè” - dal nome del servitore di Gelindo - si intende dire che è una persona un po’ ignorante e poco educata. 
 
La storia di Gelindo inizia 400 anni fa in Piemonte
 
Questa commedia ha origine da un testo teatrale nato nell’alto Monferrino intorno al XVII secolo da un autore anonimo e si è in seguito diffusa in tutto il Piemonte. La sua origine orale però, secondo gli studiosi, è precedente. La fanno risalire al teatro medievale e alle adorazioni dei pastori che avvenivano con laudi cantate in chiesa durante la tradizionale messa di mezzanotte.
 
La storia di Gelindo nel tempo non rimane immutata, ma subisce rifacimenti e traduzioni, arrivando fino in Liguria e Lombardia. Vedrà una grande fortuna nel periodo tra le due guerre, quando è utilizzata anche come lettura dialogata nelle veglie contadine. Fino alla Seconda Guerra Mondiale Gelindo era il protagonista natalizio per eccellenza in Piemonte, tanto che la sua storia era la più narrata della regione. Lo testimoniano i racconti degli anziani che ricordano le rappresentazioni in dialetto improvvisate in stalle, teatri o oratori. 
 
Negli ultimi decenni la commedia ha goduto di grande fortuna, soprattutto per la sua riproposizione da parte delle compagnie teatrali in tutto il Piemonte. Ma adesso in pochi la ricordano. La storia di Gelindo è nata come orale e anche per questo nel tempo, essendo stata tramandata da una generazione all’altra, le versioni si sono modificate notevolmente. 
 
Paula Gunn Allen, scrittrice e attivista statunitense, ha scritto che le culture che si affidano all’oralità sono sempre “a una generazione dalla scomparsa”. Cioè rischiano continuamente di estinguersi perché basta il silenzio di una generazione perché vadano dimenticate e, quindi, perse per sempre. In questo contesto il ruolo che ognuno riveste è fondamentale perché ciascuno interviene nella continuità raccontando, anche con alcune modifiche, le storie trasmesse dalla memoria culturale di una comunità. 
 
La storia di Gelindo è un pezzo importante della tradizione natalizia piemontese. Il pastore monferrino incarna il valore degli umili perché si fa portatore di doni materiali e spirituali, è ingenuo ma sa stupirsi ed è riconoscente. È il difensore della tradizione, degli usi e costumi antichi. È il conoscitore della saggezza proverbiale. Non dovremmo permettere che Gelindo sia dimenticato. Dovremmo farci portatori di quella tradizione orale iniziata più di 400 anni fa che i nostri trisnonni hanno sentito raccontare dai loro genitori e che, a loro volta, hanno raccontato ai propri figli. Per non perdere lo spirito del Natale, i valori, le storie e le tradizioni locali che porta con sé. Per non perdere la ricchezza del passato, perché anche la storia di Gelindo raccontata in una stalla ha avuto il suo valore. E noi non dobbiamo dimenticarlo.

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