CUNEO - Più sani con il Training Autogeno

La consulenza dello psicoterapeuta

28/10/2016 09:43

Il training autogeno è una delle più studiate tecniche di terapia oggi utilizzate nell’ambito psicoterapeutico. Fu messa a punto intorno agli anni venti da Shultz e attualmente viene impiegato in vari contesti di cura.
Secondo Shultz il training autogeno può portare a tutto ciò che può essere conseguenza della distensione (del corpo) e immersione psichica (della mente). Quindi: riposo; autodistensione; autoregolazione delle funzioni corporee normalmente involontarie; miglioramento delle prestazioni; eliminazione del dolore; autodeterminazione; autocritica e autocontrollo (1). In pratica la tecnica consiste nel paziente che si sdraia sul lettino e segue le indicazioni verbali del terapeuta. Per la maggior parte delle persone è molto piacevole e rilassante. Il T.A. ci ricorda, come metodo, che la divisione tra mente e corpo è solo un artificio scientifico che rende più comodo il dialogo anche tra gli esperti. In realtà esiste un solo “sistema” persona che va pensato in termini di complessità e non in modo riduttivo. La maggior parte delle malattie fisiche infatti, specie se croniche hanno un influsso anche importante sul tono dell’umore – per esempio – o possono creare scompensi psichici anche più gravi.
Come il dolore fisico crea sofferenza mentale, anche la sofferenza psichica può indurre a malesseri fisici, come nei casi dei disturbi psicosomatici (che in gergo chiamiamo psicogeni somatoformi). Molti sono i giovani che si rivolgono a me perché vittime di attacchi di panico, gastroenteriti che non hanno riscontri a livello diagnostico, che quindi sono da definirsi di natura nervosa, scariche improvvise e incontrollate di dissenteria, timore che disturbi fisici anche banali possano essere causati da tumori in corso o patologie gravi sebbene già escluse dal medico. anche il disturbo dell’erezione, l’eiaculazione precoce e il vaginismo sono, nel 90% dei casi, disturbi di origine mentale.
Vediamo un caso di riduzione del dolore.
Anni fa venne da me una donna che lamentava importanti dolori in tutto il corpo già curati dai medici con qualsiasi tipo di farmaco: dall’antidolorifico anche potente, agli psicofarmaci che operano sul dolore che noi chiamiamo “neuropatico”. In breve: questa donna aveva male ovunque e non sapeva perché. Il T.A. – in associazione ai farmaci – si è rivelato utile al fine di ridurre in modo significativo il dolore.
Difficile a credersi ma è proprio così: la mente può avere un grosso influsso sul corpo.  Quando si ha ragione di credere che il disturbo può essere di origine psicologica, allora lo psicoterapeuta si accerta che il paziente abbia fatto tutti gli accertamenti medici necessari per escludere patologie di altro genere, dopo di che si procede con la psicoterapia. Spesso integro al colloquio psicologico la tecnica del training autogeno. In psicoterapia individuale non va mai applicata in modo standardizzato, come si fa abitualmente nei corsi di gruppo, ma va adattata, pur attenendosi agli esercizi base, alle specifiche esigenze e difficoltà del paziente. La parola training significa addestramento e consiste in una serie di esercizi base ed evoluti (di cui parleremo magari in altra sede). Perché sia efficace il T.A. deve essere ripetuto quotidianamente. Con la ripetizione il paziente fa entrare l’esercizio nelle proprie abitudini così che l’esperienza della distensione diventa più rapida e si può passare all’esercizio successivo. Il T.A. non è una panacea che cura tutti i disturbi, ma chi vi si dedica con costanza e dedizione può raggiungere ottimi risultati a più livelli.
Occorre però fare attenzione: spesso dietro la richiesta di imparare il training autogeno, c’è il desiderio tipico del nostro tempo di disporre in tempi rapidi di uno strumento per “mettere a tacere” il sintomo. Si tratta di una premessa molto pericolosa che va riconosciuta dal terapeuta e tenuta in seria considerazione durante ogni passaggio del processo psicoterapeutico. Da questo punto di vista Hoffmann ci mette in guardia. Il TA non va considerato come un metodo brevettato, e chi vi si approccia in questo modo non va lontano (2). Il terreno fertile per l’applicazione del metodo non può prescindere dal desiderio di “voler ottenere”, ma nel contempo deve essere scevro dall’arroganza del “tutto e subito”, nonché della presunzione di sapere “cos’è bene per me”. Spesso l’esperienza del training autogeno porta sia il paziente che il terapeuta verso sentieri imprevisti, e quando l’accettazione di entrambi nei confronti dell’imprevisto è autentica e onesta, esso diventa terapeutico.

Bibliografia
1. Shultz, J.H.: Ubungsheft für das autogene Training. Konzentrative Selbstentspannung. 15. Aufl., Thieme, Stuttgart 1972.
2. Hoffmann B. H., Manuale di Training Autogeno, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1980, p 8 e 9.


Dott. Christian Rinaudo

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