CUNEO - Quando alla vigilia di carnevale il sultano triste passò per le vie di Cuneo e Savigliano

Ostaggio dei Cavalieri di Rodi, il Papa voleva farne una bandiera per una crociata: lui, da buon 'infedele', non sì convertì al cristianesimo. Morì ucciso dal rasoio avvelenato di un finto barbiere

La figura del sultano stuzzica l'immaginario collettivo occidentale (Immagine di repertorio)

Samuele Mattio 06/02/2021 08:31

È opinione comune che l'attrazione degli europei per il ‘fascino orientale’ sia esplosa dalla diffusione della raccolta di racconti ‘Mille e una notte’, ma senza addentrarci in sofismi possiamo affermare a ragion veduta che il fascino per l’esotico non ha attraversato i secoli, o almeno non soltanto, grazie alle novelle della principessa Sharazād. La fantasia del popolo è stata stimolata soprattutto da fatti e personaggi realmente esistiti, come quello che proveremo a raccontare: stiamo parlando del passaggio di un sultano per le vie di Cuneo. Un fatto che oggi apparirebbe strambo e attirerebbe la curiosità di molti, figuriamoci quali potevano essere le reazioni nel 1483, anno in cui venivano al mondo Raffaello Sanzio e Martin Lutero.
 
A narrar dell’episodio è Giovan Francesco Rebaccini, autore della più antica cronaca di Cuneo: “Il sabato prima del Carnevale - scrive il giurista tra gli ultimi avvenimenti da lui riportati - venne a Cuneo l’illustre Sultano Giaume, figlio del fu Maometto Gran Re dei Turchi, con un seguito di quaranta cavalieri, accompagnato dai venerabili cavalieri di San Giovanni da Rodi, e il giorno dopo se ne andò verso Savigliano per raggiungere o il re di Francia o il duca di Savoia. Questo passaggio fu un avvenimento inconsueto in patria e per tutta la cristianità. Aveva un salvacondotto dei cavalieri di Rodi che lo trattennero col suo seguito per vari giorni a Nizza”.
 
Chi era questo Giaume? Si tratta di Gem - o Cem - Sultan (detto anche Zizim) terzo figlio di un personaggio certamente noto ai più: Maometto II ‘Il Conquistatore’, colui che nel 1453 mise fine alla storia millenaria dell’Impero Romano d’Oriente entrando in Constantinopoli, fino ad allora ritenuta inespugnabile. Oltre a una serie incredibile di vittorie militari trasformò la più grande basilica romana d’Oriente nell’attuale moschea di Santa Sofia e costruì il Palazzo Topkapi. Mehmet II ha trovato nuova popolarità tra i giovani grazie alla docuserie turca trasmessa da Netflix 'L'impero ottomano', che narra le sue gesta.
 
Come si usava all’epoca quando il padre morì, Gem contese il trono al fratello maggiore Bayezid II, ma ne uscì sconfitto e si rifugiò presso i cavalieri di Rodi, che inizialmente gli riservarono un’accoglienza magniloquente, ma poi - pressati dai tanti interessi attorno all'illustre ospite - ne fecero un ostaggio. Non bisogna pensare a una dura prigionia: Zizim viveva in una gabbia dorata itinerante, tant’è che fu inviato in Francia (durante il viaggio, la citata tappa a Cuneo). Pretendente al trono ottomano, Cem era una minaccia per il Bayezid II, che pagava un tributo per tenere il fratello lontano. Dopo qualche anno fu consegnato a papa Innocenzo VIII, intenzionato a farne una bandiera per una crociata contro gli ottomani. Un piano che rimase nella testa del pontefice un po’ per la riottosità dei regnanti europei a partecipare, un po’ perché Cem non voleva saperne di convertirsi al cattolicesimo, ma il sultano era comunque utile alla politica del papa per tutelare i territori cristiani dei Balcani: ogni volta che Bayezid vi metteva gli occhi sopra, Innocenzo minacciava di liberare il pretendente al trono. Nel 1494, poi, il successore sul soglio pontificio Alessandro VI, consegnò Cem al re di Francia Carlo VIII di Valois, che stava progettando una spedizione contro l'impero ottomano. Il sultano morì poco dopo, a 35 anni, ucciso dal rasoio avvelenato di un finto barbiere. Bayezid, soprannominato ‘Il Giusto’, dichiarò lutto nazionale nell’impero ottomano, e chiese la restituzione della salma del fratello per dargli giusta sepoltura. Il corpo fu restituito quattro anni dopo e fu tumulato a Bursa, ai piedi dell’antico Olimpo della Misia.
 
Una vita triste e malinconica quella del sultano Gem, nonostante fosse acclamato dovunque andasse, forse perché incarnava la speranza per la riconquista di Costantinopoli - che oramai aveva un valore più morale e spirituale che politico-militare: un fatto inusuale per un uomo che all’epoca era considerato un infedele. Lo avevamo lasciato a Cuneo in procinto di recarsi a Savigliano.
 
A raccontare le vicende di Gem nella città di pianura nell’ultima giornata di carnevale è Filippo Re, collega del quotidiano online ‘Il Torinese’, che in un articolo del 2018 cita gli storici ottocenteschi Carlo Novellis e Casimiro Turletti nelle loro poderose Storie di Savigliano: “L’ingresso in città fu trionfale. Scortato da un centinaio di uomini a cavallo tra cui quaranta devoti cavalieri turchi fu accolto dalle autorità comunali come un vero principe e, in suo onore, fu organizzata una magnifica festa da ballo in maschera e un concerto musicale sotto l’ampio portico di Emanuele Tapparelli illuminato sontuosamente per una splendida e capricciosa serata”. E le danze cominciarono. “Strano ricevimento per un Turco. Fu egli posto a sedere, con un vestito ricco e abbagliante, sopra una specie di trono frammezzo alle sue due donne, delle quali la favorita vestiva un abito di color cremesi e l’altra era in vestito ricamato d’argento”.
 
Ignoriamo i particolari di questa festa, racconta Novellis, “ma sappiamo però che le dame saviglianesi concorsero a rendergli omaggio e, nello accomiatarsi, non disdegnarono di fargli riverenza e di baciargli la mano. Ritirossi egli nel suo alloggio co’ suoi e dovendo poi proseguire la sua strada per la Francia, partì il dì seguente per Exilles”. Dopo i festeggiamenti sorsero gli scrupoli. “Fu dato carico a quelle donne, ricorda il Novellis, di aver baciato la mano a un infedele maomettano, quasi fosse un santo o un venerabile, e a gran fatica poterono ottenere di essere assolte dai confessori”.

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