CERVASCA - Un archeologo belga è dal 2017 l’unico abitante di Pratogaudino: “In ottima compagnia con la solitudine”

Michael Willemsen, 52 anni, ha scelto la borgata fantasma sulla montagna di Cervasca per tornare ad essere “padrone del proprio tempo”

Michael Willemsen

Samuele Mattio 27/12/2021 16:56

Pratogaudino è una borgata fantasma sulla montagna di Cervasca, a circa mille metri d’altitudine, al confine con i comuni di Vignolo e Roccasparvera. L’unico accesso carrabile passa dalla frazione San Michele: vi si arriva percorrendo una strada asfaltata piuttosto ripida, che oramai d’inverno non viene più ripulita dalla neve perché i costi per lo sgombero sono troppo elevati. 
 
In un recente libro edito da Primalpe (il titolo è “La montagna di Cervasca - Pratogaudino: ridare vigore alla speranza”), Maria Bramardi - uno dei tre autori del volume con Giancarlo Giordana e Lucia Renaudo - racconta l’origine medievale di questi luoghi: il primo documento a farne menzione è del 1263, si tratta di un atto di transazione tra Cuneo e Roccasparvera per una questione di confini. 
 
Pragodin, in piemontese, è stato abitato fin da allora da pastori e gente che viveva dei prodotti della terra. Negli anni ’80 dell’Ottocento vi aprì anche una scuola. Eppure la borgata non è mai diventata un vero e proprio ‘paese’ per l’assenza di attività commerciali. Negli anni Trenta del secolo lungo, qui e nelle borgate vicine risiedevano circa 220 persone. Si viveva di latte, patate e castagne. Poi le due guerre e il boom economico hanno portato allo spopolamento tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento, fino alla completa desertificazione.
 
Un nuovo abitante sulla montagna di Cervasca
 
Da quattro anni un uomo ha deciso di ripopolare la borgata da cui si può godere di un panorama unico sulla Bisalta e su gran parte della pianura del basso Piemonte. Ma non si tratta di un “ritorno alle radici”: a scegliere di vivere nel ‘Mondo dei Vinti’ raccontato da Nuto Revelli è Michael Willemsen, 52enne archeologo belga, che ha deciso di dare una svolta alla sua vita. “Nel 2017 sono arrivato qui e la casa (Baita Castagnè, n.d.r.) era in vendita. Ho subito capito che faceva per me - spiega -. Ci sono tutte le cose che mi piacciono: il bosco, un paesaggio antropizzato ed è alla fine di una strada. Ho sempre avuto una vocazione contemplativa ed eremitica, mi trovo in ottima compagnia con la solitudine e qui sto molto bene”.
 
Chi è Michael Willemsen?
 
Originario di Anversa, in Belgio, a 14 anni si è trasferito con la famiglia a Barcellona, dove ha frequentato le scuole francesi: “Mi sono trovato a parlare due lingue nuove, prima conoscevo solo fiammingo. È stato l’inizio di un vagabondaggio che mi ha portato a viaggiare per mezza Europa”. 
 
Dopo le superiori il ritorno in Belgio per frequentare l’università: ha studiato Archeologia e storia dell’Arte. Poi ha vissuto a Roma, dove ha conseguito un dottorato. In seguito si è spostato nel mezzogiorno per seguire alcuni scavi archeologici in Puglia, Calabria e Sicilia: “Mi sono specializzato nelle conseguenze storiche delle eruzioni vulcaniche nell’Italia meridionale, in particolare Pompei e le isole Eolie”, spiega. “A un certo punto però ho deciso di fermarmi, ho avuto un colpo di fulmine per la montagna quando facevo i sopralluoghi sull’Etna. Dal 2005 al 2015 ho fatto una vita nomade - prosegue Michael -, mi stabilivo in un posto per poco tempo cercando lavori stagionali. Nella mia vita ho dato più importanza alla scoperta, al viaggio e all’esplorazione che al lavoro, infatti nella mia carriera non ho combinato un granché (segue un grande sorriso n.d.r.)”.
 
“Il mio criterio per scegliere un posto è sempre stato il paesaggio. Ho vissuto in Norvegia, in Provenza, in Veneto (a Belluno), ho passato anche degli inverni in un’oasi nel deserto del Sahara. Come diceva Elias Canetti (scrittore bulgaro premio Nobel per la Letteratura n.d.r.) rimpatrio in molti luoghi”. Il tutto svolgendo saltuariamente lavori stagionali, che gli hanno sempre permesso di mantenersi autonomamente, senza mai chiedere sussidi: “A Belluno avevo diritto alla disoccupazione, rifiutai. Ho fatto una scelta di vita precisa, ma non voglio pesare sulla collettività”.
 
La giornata tipo
 
“Sono una persona molto curiosa: amo alzarmi la mattina per il gusto della conoscenza. Se uno non ha scadenze e impegni deve fare una vita regolare e ritmata: è necessario alzarsi presto, cerco di avere degli orari regolari. Non si viene a vivere in un posto come Pratogaudino per cercare un equilibrio, è necessario averlo già dentro di sé: durante il giorno scrivo e leggo molto, ma non ho mai voluto pubblicare nulla. Oggi ognuno si specializza in qualcosa, ho preferito spaziare in modo ampio”. Michael gestisce anche una pagina Instagram “Storiedapragudin”, dove pubblica aneddoti e curiosità sul territorio cuneese.
 
A differenza di molte persone che sono tornate alla montagna, Willemsen non ha un orto: “Non sono agricoltore, anche se mangio per lo più cibo biologico. Non ho una dieta particolare, scendo una volta al mese a Cervasca a fare la spesa, per il resto ho qui tutto quello che mi serve”. 
 
Un’altra scelta controcorrente, perlomeno nel nostro mondo frenetico e nel quale si tenta di ridurre al minimo il tempo per gli spostamenti è quella di non possedere una macchina: “Almeno non mi viene la tentazione di allontanarmi - scherza -. Quando viene la mia compagna da Vaison-la-Romaine, in Provenza (si chiama Marie-Christine e stanno insieme da 7 anni, n.d.r.) mi accompagna a visitare la provincia di Cuneo”.
 
Un rito per tenere allenata la mente (e le lingue)
 
“Ogni mattina leggo una pagina di sei libri diversi in altrettante lingue diverse. Mi serve per dispormi a proseguire con la lettura. Mi sono reso conto che se non lo faccio perdo la confidenza con gli idiomi stranieri. È un rituale che, oltre a permettermi di mantenere allenata la mente, mi consente di non essere prigioniero di una sola lingua. Non si pensa nello stesso modo in italiano, in francese o in spagnolo, ci sono sfumature diverse” (Michael parla anche fiammingo, inglese e catalano).
 
Isolato? Sì, ma non troppo
 
“Qualcuno mi dice che sono troppo isolato, ma ho vissuto in posti che lo erano molto di più. Si tratta comunque di una concezione relativa: qui le persone passano e salutano, in città non accade. Ci persone che si sentono molto più sole in mezzo alla città. Ciò non accade in mezzo alla natura, è una questione di equilibrio interiore”. 
 
Un punto di riferimento? “Il filosofo del Rinascimento francese Michel de Montaigne, che si ritirò nelle sue terre in giovane età - spiega -. Ritengo importante essere padroni del proprio tempo. Il rapporto con il tempo è importante, se uno va di fretta ed è stressato non può stare qui. Bisogna essere capaci a stare seduti a guardare un tramonto o un’alba per il gusto di farlo”. D’altronde, continua, “un uomo potrebbe passare la vita ad approfondire quello che c’è nel raggio di 4-5 chilometri: dalla flora alla fauna, dal paesaggio storico alla geologia. Gli aspetti da analizzare sarebbero moltissimi. C’è un autore che ha passato un anno intero a osservare un cerchio di un metro di diametro in una foresta (David Haskell - La foresta nascosta. Un anno trascorso a osservare la natura n.d.r.)”.
 
Willemsen tiene a precisare di non essere “un asociale”: “Credo nella collettività, tant’è che mi sono vaccinato e ritengo utile l’interscambio con gli altri. Parlo spesso con la gente che passa di qui, molti mi portano anche dei regali”. Piemontesi falsi e cortesi? “Al contrario, della cultura del posto mi ha colpito la cordialità. Non l’ho trovata da altre parti. Qui fa piacere parlare con le persone”.
 
Lo spopolamento delle valli? Un processo che è iniziato nel 1600”
 
Grazie alla sua esperienza sulle montagne del Nord Italia l’archeologo belga ha sviluppato un’interessante teoria sullo spopolamento delle valli cuneesi (e non solo): “Negli anni del dopoguerra c’è stata la Michelin, insieme alle comodità del progresso ha costituito il propulsore di un abbandono che però è partito molti anni prima”. Una data? “L’implosione della civiltà alpina inizia nel ‘600 con la dominazione dei Savoia. Il Ducato ha ‘centralizzato’ l’amministrazione e la montagna è diventata marginale. È in quell’epoca che le valli che prima conoscevano forme di autogoverno, per esempio la valle Maira e la repubblica degli Escartons in val Varaita, hanno perso la loro autonomia”.
 
“Dall’XI al XIV secolo - continua Willemsen - erano le pianure a essere ricoperte di boschi e selve, mentre la montagna era coltivata e aveva molti abitanti. A quei tempi in valle c’era più gente alfabetizzata che in pianura”. Nell’antichità, spiega, i romani ponevano i confini ai piedi dei monti e così è stato per molti secoli: “Poi i confini degli stati nazionali hanno tagliato in due una civiltà che era molto mobile, dove la gente si spostava parecchio. Ancora fino agli anni ’20-’30 del secolo scorso, nonostante il confine, c’era un viavai continuo tra i due versanti alpini”.
 
Ripopolare la montagna? Serve uno sguardo nuovo
 
È possibile ripopolare le valli? “Non con le persone che da qui sono partite, ma forse con le nuove generazioni. È un fenomeno che ho visto da altre parti: quando ero bambino negli anni ’70 facevo le vacanze in Provenza e parte di quella regione era abbandonata, poi sono arrivati dei belgi che pian piano hanno cominciato a ripopolarla. È più facile che qualcuno che arriva da fuori riconosca il valore di un paesaggio. I figli di chi è partito e che vivono vicino dicono: ‘Qui non c’è nulla’. Serve uno sguardo nuovo, chi viene da lontano vede cose che il locale ha disimparato a vedere. Se hai vissuto tutta la vita qui non ti rendi conto del valore e del patrimonio che hai intorno”. 
 
A ripopolare le montagne non devono essere per forza i contadini: “Se continuiamo a pensarla così non andremo lontano”. Che cosa è necessario fare, allora? “Il primo punto, insieme all’acqua e all’elettricità, è la diffusione della rete. Nella maggior parte delle valli il segnale non arriva, questo è un ostacolo insormontabile. L’Italia, la provincia di Cuneo in particolare, ha un grosso ritardo su questo: in Marocco puoi metterti in mezzo al deserto e scaricare un pdf in un secondo, la connessione è velocissima, nelle valli del Cuneese non è possibile”.
 
Il digital divide accentua una divisione sociale, perché “chi non ha internet non può accedere a molte informazioni, secondo me è un problema gravissimo e sottovalutato”. Se lo dice lui c’è da credergli.

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