VALDIERI - Ad Altare si ricorda il salvataggio di tre alpinisti liguri sul Corno Stella

Il prossimo 14 luglio una serata per ripercorrere gli eventi che avvennero tra il 17 e il 18 settembre 1977

Il cerchio rosso indica il punto dove Luca era appeso sotto un tetto, i due pallini rossi i compagni Marcello e Renato

Redazione 06/07/2023 09:10

"Non era una semplice nevicata: era una vera tormenta che in poche ore aveva violentemente cambiato il tiepido paesaggio autunnale in uno invernale. Lassù, quel lumino era sballottato da gelide raffiche. Le urla, ora rauche, si affievolivano sempre più: bisognava intervenire".
 
Sergio Costagli
 
17 e 18 settembre 1977, località Terme di Valdieri. Corno Stella spigolo inferiore. Marcello, Luca e Renato, a seguito di una corda doppia sbagliata e fuori via, sono rimasti incordati tutto il giorno e la notte sotto in fitta nevicata. Su richiesta di intervento dei famigliari, alle ore 22 la squadra di Soccorso Alpino di Cuneo -sotto una violenta bufera - iniziava la salita al rifugio Bozano. Alla mattina, raggiunti i tre alpinisti, si provvedeva con manovre di corda complesse a calarli lungo la parete che si presentava in condizioni invernali per l’incessante nevicata. Raggiunto il rifugio i tre presentavano gravi sintomi di congelamento e, a turno, alcuni volontari provvedevano a massaggiarli. Il più grave fu trasportato a valle sulla barella Cassin. 
 
Il prossimo venerdì 14 luglio ad Altare (SV), dopo quarantasette anni, sarà ricordato quel soccorso dall’Accademico del CAI Fulvio Scotto, presenti tre soccorritori che parteciparono al recupero dei tre alpinisti: Gianni Bernardi (allora Delegato della XV Zona), Sergio Costagli, Luigi Carletto (ex Comandante della Stazione SAGF di Limone Piemonte) e, in collegamento video, Livio Bertaina. La serata si svolgerà presso Villa Rosa, in piazza del Consolato 4, a partire dalle 17.30. Seguirà apericena.
 
Livio Bertaina, volontario del Soccorso alpino
Alle 23 circa arriva la prima squadra, nell’accogliente rifugio facciamo un briefing sul da farsi: siamo tutti d'accordo, un intervento a quell'ora ed in quelle condizioni sarebbe troppo rischioso per tutti noi, meglio aspettare il primo chiarore dell’alba. Domenica 18 settembre, il tempo è improvvisamente cambiato al bello e alle prime luci siamo all'attacco del canalino che porta alle cenge. Due cordate di punta si dirigono verso gli alpinisti: io con Jean Gounand, Gianni Bernardi con Gigi Serra, il resto della squadra avrà il compito di attrezzare il lungo traverso della cengia. All'attacco del diedro-canale, corazzato di neve densa e ghiaccio, si muove Jean Gounand, parte con una velocità sorprendente, lo assicuro e la corda scorre velocemente tra le mie mani senza intoppi, Gli alpinisti – che poi erano tre ragazzi liguri - ci hanno sentiti e le loro grida diventano strazianti: alzo la testa, ad una quarantina di metri sopra di me, sulla destra della parete lungo la via Cavalieri Sud, intravedo un ragazzo in jeans e camicia appeso nel vuoto sotto uno strapiombo. Gridando cerchiamo di tranquillizzarlo, siamo sulla cengia ai piedi dello spigolo che guarda verso la Nord, ed è qui che troviamo il secondo ragazzo: rannicchiato e tremante ma fortunatamente cosciente, il terzo, circa tre metri più sopra, è fermo, su di un terrazzino, non sembra in sé, è abulico, non reagisce quando gli parlo. Raggiunti dalla cordata di Gianni e Gigi, decidiamo il da farsi: è urgente il recupero del primo che è completamente appeso nel vuoto per circa venti metri. Il ragazzo, occhi sbarrati è decisamente malconcio, è ammutolito, ha perso la sensibilità a gambe e braccia restando appeso sulla imbracatura con l’autobloccante prusik tutta la notte.
 
Sergio Costagli, volontario del Soccorso alpino
Quello che era appeso sotto quel tetto appariva il più grave, dovevamo farlo parlare per tenerlo sveglio sotto una fitta nevicata che in poche ore coprì la morena, le rocce e il rifugio. Le temperature erano decisamente basse. La mattina presto (forse era ancora buio) alcuni compagni della squadra e non ricordo chi, con grossi zaini colmi di materiale alpinistico raggiunsero i cengioni alla base del Corno per attrezzare in sicurezza la discesa dei tre ragazzi. Il mio ricordo è legato a Nitu Pancani, per precauzione lo accompagnai attraversando il dedalo della morena fin sotto quel breve canale che si raccorda con l’inizio dei cengioni. Lasciato Nitu e il suo zaino del pronto soccorso (era lui che doveva verificare lo stato di salute dei tre) raggiunsi il cengione per rendermi conto a che punto erano Gianni, Gigi, Livio e Jean Gounand. E poi? Tornai indietro, dalla radio sentii che le calate erano terminate, due ragazzi sembravano meno gravi e collaborativi, il terzo, quello appeso, era il più grave. Gli arti inferiori apparivano congelati, era privo di reazioni. Il secondo flash è quando sono con Nitu che visita i tre ragazzi. Lui professore ordinario di clinica chirurgica all’Università di Torino, io studente all’università, entrambi osservavamo per la prima volta dei congelati; ricordo la preparazione di una o due siringhe e lo stupore del veterinario nel constatare che dall’inguine in giù, verso i piedi, le gambe erano rigide, dure. Per l’assenza di tessuti morbidi, le iniezioni furono fatte sulla sommità della pancia.
 

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