CUNEO - Undressed

Il 23 luglio a Zoè in città un laboratorio per esplorare e abitare nuove parti di sè, a cura dell'artista Clara Daniele e della psicoterapeuta Elisa Dalmasso

Francesca Barbero 14/07/2023 16:28

Domenica 23 luglio dentro lo chapiteau del Circo Zoè, al Parco Fluviale, ci sarà un laboratorio pensato per scoprire e esplorare nuove parti di sè partendo dagli abiti, una seconda pelle che dà forma all'immagine con cui scegliamo di muoverci nel mondo e di rivelarci ai suoi sguardi. Ideato e curato dall'artista Clara Daniele e dalla psicoterapeuta Elisa Dalmasso, “Undressed” porterà i partecipanti a spogliare il corpo e la mente da limiti e barriere spesso imposti dal genere, dalla pressione sociale o dal potere che si tende ad attribuire allo sguardo altrui per provare, in gruppo, a indossare nuove parti del proprio essere, ad abitare nuovi abiti. Abbiamo fatto qualche domanda a Clara e Elisa per saperne di più.
 
Che cos'è un abito? La radice etimologica è la stessa del verbo abitare. Si abita un corpo così come si abita uno spazio?
Clara: "Assolutamente sì, la differenza la fa sempre il grado di consapevolezza col quale ne facciamo esperienza. Certi spazi ci mettono a nostro agio, altri a disagio, la stessa cosa accade al corpo e agli abiti che indossa, se abbiamo una sensibilità capace di cogliere anche le sfumature, si possono fare viaggi molto interessanti facendo esperienza di questi aspetti e questo laboratorio può essere un primo passo verso questa direzione".
Elisa: "Risaliamo esattamente a quella radice etimologica: habitus: modo di essere, di abitare, di occupare spazio nel mondo. E' un concetto particolarmente sviluppato in antropologia, Pierre Bourdieu definisce habitus quell'insieme di modalità che creano una vera e propria struttura, che consolidano una serie di abitudini. Il modo che abbiamo di abitare il corpo, di muoverlo nello spazio, di ricoprirlo di forme, colori e consistenze fa parte di quelle strutture. Gli abiti parlano della nostra storia personale, del potere che esercitiamo nei confronti dell'ambiente e viceversa di come le strutture socioculturali agiscono su di noi”.
 
E il corpo? Cosa rappresenta il corpo per un'artista? E dal punto di vista di una psicoterapeuta?
Clara: "Per me il corpo è un concetto esteso che si trasferisce anche all'oggetto o agli spazi che abito. Non si ferma al confine epidermico, ma lo travalica e spesso si fonde con la materia che gli sta intorno. Tutti i corpi con cui entriamo in relazione si modificano e ci modificano a loro volta, questo è un concetto cardine della mia ricerca, insieme a quello relativo al tempo e alla memoria impressa nella materia, animata o inanimata che sia".
Elisa: "Il corpo per me è l'organo di contatto per eccellenza con l'ambiente esterno, ogni relazione con l’altro costituisce sempre un’esperienza ‘incarnata’. Il corpo parla, comunica, trasmette sensazioni, energie, contiene le esperienze precedenti e le riprocessa costantemente con l'ambiente. Scegliere più o meno deliberatamente come rivestire il proprio corpo, e le sue forme, è a mio avviso, una delle modalità di relazione più immediata che intercorre tra noi e lo spazio circostante”.
 
Da fotografa, se penso al corpo, penso immediatamente al guardarsi, allo specchiarsi, al riflettersi, al mettersi a nudo di fronte a se stessi... E ovviamente alla sua rappresentazione nella società dell'immagine.
Clara: "Sì, condivido le tue osservazioni, ma mi sento di aggiungere che il corpo, da sempre, viene nascosto o valorizzato dagli abiti che decidiamo di indossare per interpretare al meglio la maschera sociale che più ci rappresenta in un preciso momento della nostra vita. Averne la consapevolezza aiuta a volte a voler varcare un confine e a cercare di sperimentare anche altro".
Elisa: "Sono una psicoterapeuta ad indirizzo gestaltico. C'è un concetto interessante in psicoterapia della Gestalt che è il rapporto figura/sfondo: lo sfondo è ciò con cui la figura è in relazione per potere emergere. Non esiste quindi una forma senza uno sfondo. Colgo volentieri il tuo stimolo perché il modo che abbiamo di guardare il nostro corpo, di confrontarlo con altre immagini, di vederlo riflesso, è inevitabilmente correlato allo sfondo culturale circostante. Anche se ci sembra di andare in una 'direzione ostinata e contraria' alle mode, alle tendenze, ci stiamo inevitabilmente relazionando ad esse. Scegliamo in che modo esprimere la nostra identità di genere attraverso il corpo e attraverso gli abiti, indirizziamo la nostra energia seduttiva, o al contrario comunichiamo la volontà di scomparire, di passare inosservat*, di con-fonderci, di non emergere. Ogni tensione tra forma e sfondo rivela un pezzetto di noi, mette in luce tutta quelle serie di adattamenti creativi che abbiamo messo in campo per stare al mondo: gli abiti, lo stile personale fanno parte di quegli adattamenti e di ciò che vogliamo comunicare”.
 
"Undressed" è il titolo che avete scelto per il laboratorio. Di cosa si spoglieranno i partecipanti? Cosa si andrà ad esplorare?
Clara: "Ci piaceva l'idea che ci fosse una certa dose di messa a nudo della persona, ovviamente nessun partecipante verrà obbligato a fare niente che non desideri fare, ma il concetto che ci interessava era quello di spogliarsi dei propri abiti abituali per potersi ritrovare metaforicamente nud* e decidere come e se rivestirsi in altro modo".
Elisa: "Invitiamo i partecipanti a fare piccole esperienze di consapevolezza: provare, strato per strato a rintracciare in che modo si è scelto di portare il proprio corpo nel mondo. Gli abiti modellano la nostra presenza nello spazio e comunicano qualcosa di noi all'esterno. In che modo mi vedono gli altri? Come ci sto davvero io nei miei panni? Sono comod*? Cosa mi sto impedendo di sperimentare di me attraverso i miei abiti usuali? Cosa invece vorrei provare ad indossare? Come cambia il modo che ha l'altro di relazionarsi con me, se provo a cambiare forme, colori e consistenze dei tessuti di cui mi rivesto? Queste sono le domande che vorremmo esplorare con le/i partecipant*, questo per noi significa spogliarsi, mettersi a nudo, mettere in discussione gli automatismi, farlo insieme, in un luogo sicuro, con il sostegno di un gruppo”.
 
Era anche il titolo di un programma trasmesso su MTV, tra fine anni '90 e inizio 2000 (persone single di qualsiasi orientamento sessuale entravano in una stanza buia con al centro un letto illuminato. Lì avevano mezz'ora per spogliarsi a vicenda, seguendo le istruzioni sullo schermo posto davanti al letto, conoscersi e decidere se continuare la conoscenza a telecamere spente).
Clara: "Non conosco il programma, ma mi interessa molto l'idea di fondo. Nel caso del nostro laboratorio potrebbe funzionare al contrario: ogni abito scelto in un contesto di gioco e di nuova scoperta di sé potrebbe portare ad aggiungere elementi utili ad una nuova conoscenza dell'altro, ma in primis di se stessi".
Elisa: "Non conosco il programma ahimè, quindi non sono in grado di rispondere”.
 
“Undressed” è parte dei numerosi eventi proposti da Zoè in città, il Festival ideato dal Collettivo Zaratan con il Circo Zoè, dal 20 luglio al 6 agosto. È realizzato con il sostegno e la collaborazione di Emmaus Cuneo: tutti gli abiti da sperimentare nel laboratorio, infatti, sono stati appositamente selezionati da Clara nell'ottica del riuso e del vintage, in contrapposizione alla logica della fast fashion.
 
Domenica 20 luglio dalle 16 alle 20.
Costo di partecipazione (iscrizioni dai 16 anni in su): 15 euro.
Info e prenotazioni: Clara 333 256 8610 - Elisa 340 7124 733.
 
Programma completo di Zoè in città QUI.
 
 
 
 
 

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