CUNEO - Addio all’antipolitica: il governo aumenta lo stipendio ai sindaci. Alla faccia della lotta alla "casta"

Nella Granda per i primi cittadini dei 201 comuni sotto i 3 mila abitanti indennità (giustamente) su del 19%, ma al Comune di Cuneo siamo al 70%, il successore di Borgna avrà di che sorridere. E nelle grandi città le indennità... raddoppiano

Alcuni sindaci della provincia in un'immagine di qualche anno fa

Samuele Mattio 04/11/2021 16:17

Sono passati quattordici anni da quando due giornalisti del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, uscirono con ‘La Casta’, un libro-inchiesta che ebbe un’influenza rilevante sull’attualità degli anni successivi. Tra scandali, privilegi e sprechi della politica i due gianburrasca del giornalismo aprirono il dibattito sulle situazioni paradossali che permeavano la pubblica amministrazione (e a dire il vero, molte perdurano tutt’ora). Volente o nolente il testo, capace di superare 1,2 milioni di copie vendute nel giro di pochi mesi, divenne il manifesto di una stagione definita “dell’antipolitica”. A seguire quella strada e a farne il suo cavallo di battaglia è stato, più di altri, il Movimento Cinque Stelle. Nel mirino auto blu, pensioni d’oro, consulenze gonfiate, spese pazze, finanziamenti ai partiti, ma anche e soprattutto gli stipendi dei politici. Negli anni Dieci di questo secolo l’ondata cosiddetta ‘populista’ ha travolto tutto, ma spesso le misure adottate trasversalmente per contenerla sono state più di facciata che altro. Un esempio lampante è il taglio dei consiglieri comunali. Per capire di cosa si stia parlando: fino a qualche anno fa il Consiglio comunale di Cuneo era composto da 40 membri, poi una legge approvata di pancia ne ha ridotto il numero e ora sono 32. Un risparmio risibile se si pensa che un rappresentante nell’assemblea cittadina prende 30 euro netti di rimborso spese (di media una convocazione al mese). Nel complesso si parla di qualche migliaia di euro in più per le casse comunali. Davvero poca roba.
 
Oggi l’uragano pentastellato, che nelle intenzioni avrebbe dovuto “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno”, sembra aver definitivamente esaurito la sua propulsione anti-sistema. È rimasto il solo Di Battista, con pochi altri, a gridare contro gli sprechi della casta. I suoi ex compagni di partito lo guardano come fosse un novello Hiroo Onoda, quel militare giapponese che a trent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale venne arrestato perché rifiutava di credere che il conflitto fosse finito. Difficile dire qualcosa di diverso riguardo a un movimento nato sui “vaffanculo” e sul niet alle alleanze con altri partiti e finito in un governo appoggiato da chiunque, dopo una periodo da ago della bilancia passato prima a flirtare con la Lega e poi con il Partito Democratico.
 
Insomma, i tempi dell’antipolitica sembrano definitamente messi in soffitta. Nell’epoca del Covid le uniche preoccupazioni di molti movimenti di opposizione extraparlamentari, da destra a sinistra, passando per il centro, hanno a che fare con il Green pass. Degli sprechi della politica non sembra interessare più a nessuno, se non a qualche riserva indiana del giornalismo indipendente (vedi Report, per fare un esempio popolare, ma non populista).
 
In questo humus nasce una misura inserita nella legge di bilancio e varata dal governo con il consenso, più o meno esplicito, di tutti i partiti: l’aumento del compenso dei sindaci italiani. E non sono mica bruscolini: i primi cittadini delle grandi città vedranno raddoppiare il loro stipendio. Per gli altri gli aumenti saranno proporzionati al numero di abitanti e al ruolo della città amministrata. Come riportato stamane dal settimanale diocesano 'La Guida', nel Cuneese l’aumento più consistente spetta al sindaco del capoluogo, che registrerà un aumento del 70%, passando dagli attuali 5.052 euro lordi mensili a 8.858 euro. L’attuale primo cittadino Federico Borgna non beneficerà a lungo della misura, in quanto il suo mandato scadrà in primavera. A sorridere sarà il suo successore, quando verrà individuato. Nella fascia tra i 30mila e i 50mila abitanti, dove è previsto un aumento dell’indennità del 35 per cento, c’è soltanto Alba, mentre potranno contare su un incremento del 30 per cento tutti i sindaci dei Comuni con popolazione compresa tra le 10mila e le 30mila unità: Bra, Fossano, Savigliano, Mondovì, Saluzzo, Busca e Borgo San Dalmazzo, i cui primi cittadini vedranno in busta un aumento di circa mille euro (facendo una media approssimativa). Un ulteriore scalino, con aumento del 29 per cento, è previsto per i Comuni tra i 5mila e i 10mila abitanti. Questi ultimi in provincia di Cuneo sono quindici: Racconigi, Boves, Cherasco, Barge, Dronero, Centallo, Caraglio, Verzuolo, Sommariva Bosco, Bagnolo Piemonte, Villanova Mondovì, Ceva, Canale, Peveragno, Cavallermaggiore e Cervasca. Altro gradino ancora, con un incremento dell’indennità del 22 per cento, comprende i comuni tra i 3mila e i 5mila abitanti che nella Granda sono ventuno: Dogliani, Montà, Carrù, Bernezzo, Revello, Moretta, Santo Stefano Belbo, Manta, Bene Vagienna, Diano d’Alba, Chiusa di Pesio, Guarene, Beinette, Narzole, Pocapaglia, Neive, Costigliole Saluzzo, Marene, Vicoforte, Caramagna Piemonte e Sanfrè. Per tutti i rimanenti 201 sindaci dei comuni al di sotto dei 3 mila abitanti, da Garessio - che è poco più in basso - in giù, l’indennità crescerà del 19%. Tradotto in cifre i primi cittadini dei tanti comuni montani sotto i 3 mila abitanti che ora percepiscono 1.333 euro ne prenderanno 1.586, mentre quelli sotto i mille passeranno da 893 euro a 1.062. Diversificati gli aumenti per gli altri, a crescere in base alla popolazione.
 
Esulta l’Anci, l’associazione dei comuni italiani, che si è battuta per veder riconosciuto il lavoro i sindaci dei piccoli paesi, pieni di responsabilità a fronte di un trattamento economico finora misero. Se è sacrosanto l’adeguamento di stipendio per gli amministratori che operano spesso in condizioni di difficoltà nelle valli e nei luoghi più sperduti del nostro Paese, c’è da chiedersi cosa giustifichi l’improvvisa benevolenza nei confronti dei sindaci delle grandi città, ai quali andranno gli aumenti più consistenti. Forse perché, come scriveva Orwell: “Tutti sono uguali, ma c'è chi è più uguale di altri”. Alla luce della legge delega, che affida al governo il compito di rivedere il testo unico degli enti locali, è opinione di molti che forse sarebbe stato il caso di alleggerirli di responsabilità obiettivamente gravose e sottrarli a processi quantomeno discutibili (vedi il caso scuola dell’ex sindaca di Genova, n.d.r.). Si è scelta una via più facile, quella del portafogli aperto.
 
C’è però un punto che farà discutere. Sarà infatti il singolo amministratore a decidere se aumentarsi o meno lo stipendio. Il governo ha previsto un fondo ad hoc con 100 milioni per il 2022, 150 milioni per il 2023 e 220 milioni a decorrere dal 2024 ma lo Stato “concorrerà” alla spesa, che per il resto sarà a carico delle casse del Comune interessato. Servirà quindi passare attraverso l’approvazione del Consiglio comunale. Insomma, se ne vedranno delle belle, a meno che l’armonia che regna nel governo delle larghissime intese non si trasferisca per osmosi anche agli enti locali.

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