CUNEO - Calcio, l’ex biancorosso Garavelli agli europei delle ‘nazionali senza Stato’ con la Padania

Si gioca in Artsakh, ‘zona calda’ tra Azerbaigian e Georgia. Ma il centrocampista assicura: “La Lega non c’entra, rappresentiamo un territorio”

Andrea Cascioli 30/05/2019 21:27

Reduce da una stagione in Promozione con il Busca, il veterano del calcio cuneese Marco Garavelli è pronto per un’avventura con la maglia di una rappresentativa davvero insolita: la nazionale padana. Il talentuoso centrocampista 38enne infatti è tra i convocati nella spedizione che dall’1 al 9 giugno prossimo prenderà parte alla terza edizione dei campionati europei organizzati dalla CONIFA, federazione indipendente di cui fanno parte 57 selezioni calcistiche espressione di Stati privi di riconoscimento internazionale, minoranze etniche, popoli senza Stato, regioni e micronazioni non affiliate alla FIFA.

La Padania Football Association è una di queste, ma dal 2013 è stata rifondata e non ha più nessun rapporto con la Lega di Salvini. Quella attuale è di fatto un’altra squadra rispetto alla nazionale che negli anni Duemila vinceva trofei a ripetizione sotto l’egida del team manager Renzo Bossi, per le cronache ‘il Trota’, e che è stata azzerata dai guai giudiziari della famiglia del Senatur e del tesoriere Belsito.

Per Garavelli, bergamasco di nascita ma ormai cuneese di adozione dopo sette stagioni nelle file del Cuneo e le esperienze con la Pro Dronero e il Busca, questa è la sesta partecipazione a un torneo internazionale della CONIFA. Con la casacca padana - non verde, bensì bianca con la rossa croce di San Giorgio in petto - dovrà difendere il titolo nell’autoproclamata repubblica dell’Artsakh, meglio nota come Nagorno Karabakh.

Si tratta di striscia di terra nel cuore del Caucaso contesa da sempre tra l’Azerbaigian, cui ufficialmente appartiene, e l’Armenia, che ne rivendica la sovranità sulla base di una schiacciante maggioranza etnica. Tra il 1992 e il 1994 ne è scaturito anche un conflitto armato, costato circa 30mila morti e oltre 80mila feriti. Da allora è tutto congelato: regge un cessate il fuoco incrinato da periodiche tensioni, ma l’indipendenza de facto della regione non è riconosciuta a livello diplomatico nemmeno dal governo amico di Yerevan.

A meno di 400 chilometri da quel travagliato confine, nella capitale azera Baku, si è disputata ieri sera la finale di Europa League tra Chelsea e Arsenal. Gli strascichi del passato sono così forti che l’ala dell’Arsenal e della nazionale armena Henrikh Mkhitarian è stato costretto a rinunciare alla sfida, poi persa dai Gunners per 4 a 1. “La situazione in Artsakh è tranquilla, ma la Farnesina ci ha raccomandato di non metterci nei guai”, spiega Garavelli. La partenza è fissata per domani, 31 maggio, con volo da Milano a Yerevan, via Mosca. Arrivati nella capitale armena, per la comitiva si prospetta un viaggio in pullman di sei ore fino a Step’anakert, la città che ospiterà il torneo.

Non è comunque la prima volta che i ragazzi allenati dal coach acquese Arturo Merlo si ritrovano in zone calde del mondo. Due anni fa, per esempio, era stata la volta della repubblica turca di Cipro del Nord: “Ricordo il confine sorvegliato a pochi chilometri da Famagosta, dove giocavamo. L’episodio più curioso lì capitò nel dopopartita: volevamo entrare in discoteca ma era permesso solo alle coppie…”.

Nel 2016 invece ci sono stati i ‘mondiali’ in Abcasia, una regione russofona della Georgia la cui secessione è riconosciuta solo da Mosca, dopo la guerra del 2008. La finale, vinta dai campioni di casa davanti a 20mila persone, è stata un tripudio, con tanto di festa nazionale decretata dal presidente della piccola repubblica: “Per gli abcasi è impossibile uscire dal loro ‘Stato’ se non per andare in Russia. In Italia diamo per scontato la libertà di spostarci, mentre quel popolo non ne ha eppure sembra non preoccuparsene, tanto è l’orgoglio per l’indipendenza raggiunta”.

Già, perché le motivazioni non sono le stesse per tutti. Nello spogliatoio della Padania, assicura il numero 19 della formazione, di politica non si parla nemmeno: “Noi rappresentiamo un territorio, non come i curdi o altre minoranze che ne fanno anche una questione nazionale. Altri, come i catalani e i baschi, scelgono di non giocare tra le nazioni senza Stato perché cercano un riconoscimento ufficiale dalla FIFA”.

Ciononostante, sebbene molte delle squadre coinvolte vengano da Paesi in guerra o con un passato travagliato, l’odio non trova spazio in queste competizioni. “Può esserci agonismo in campo, ma nient’altro. E dal lato umano - racconta ‘Gara’ - è qualcosa che ti resta. Succede di trovarti la sera a un tavolo a parlare con un indiano del Punjab e un inglese dell’isola di Man, o di essere rincorsi dai ragazzini del posto che vogliono la maglia e l’autografo e ti fanno sentire per qualche giorno un vero campione”.

Più che la vittoria sul campo, insomma, si insegue l’avventura e l’incontro con altre culture e altri mondi. Per quanto anche dal punto di vista sportivo la competizione sia cresciuta molto, con l’apporto di giocatori che arrivano dalla serie A o B russa, dal campionato turco e da varie realtà europee. Quanto alla Padania, che aveva inutilmente cercato di coinvolgere Sergio Pellissier, l’uomo di punta è il lituano Stankevicius, ex di Brescia e Lazio, cui toccherà il compito di confermare il primato europeo insieme - tra gli altri - all’ex biancorosso Garavelli e al monregalese Gianluca Rolandone, trionfatore nella coppa Italia di Eccellenza con la Nuorese. L’impresa non sarà facile, ma mai come in questo caso vincere non è l’unica cosa che conta.

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