CUNEO - 'Ma cos'è diventato il calcio?'

Smette di giocare a 25 anni, stufo dell'imbarbarimento dell'ambiente del pallone locale: una riflessione su una situazione sempre più insostenibile

r.c. 05/06/2018 12:05

Ha rincorso un pallone per 21 anni. Ha vestito le maglie di San Paolo, Pedona, Villar, Busca, Auxilium Cuneo, dalle giovanili fino all'Eccellenza, passando per Promozione e Prima Categoria. Oggi di anni ne ha 25 e ha deciso di dire “basta”, di appendere le scarpette, almeno per il momento, al proverbiale chiodo. Paolo Manfredi abita a Borgo San Dalmazzo, e ha scelto un post su Facebook per annunciare il suo “addio”. Potrebbe sembrare una storia qualunque, una storia uguale a quella di altre migliaia di ragazzi. Sono però le motivazioni che hanno spinto Paolo a prendere questa decisione a indurre ad una riflessione.
 
Ho giocato in tante realtà, sempre a questi livelli, - scrive Paolo su Facebook - ma negli ultimi anni ho notato che il calcio sta cambiando in peggio. Troppe polemiche sugli spalti (da ignoranti e genitori accaniti) e in campo, una partita di calcio che anni fa per me era un divertimento unico oggi diventa partecipare a una “fiera”, una protesta unica. All'inizio tutti che si baciano e sembrano amiconi, poi “scemo” di qua, “cretino” di là, “ti spacco una gamba”, “giuro che di qui non esci vivo”. Non è più il mio mondo”. E se un ragazzo di 25 anni, innamorato del pallone da più di vent'anni, arriva ad abbandonare la sua più grande passione perchè qualcuno sta contribuendo a spegnerla, è doveroso fermarsi a riflettere su ciò che il calcio locale è diventato (o sta diventando).
 
Perchè chi segue il pallone dilettantistico e giovanile sa che il quadro descritto da Manfredi non si allontana di molto dalla realtà. Un quadro che durante questa stagione sportiva abbiamo seguito tramite la nostra rubrica “Controcalcio”: aggressioni ad arbitri e avversari, insulti, minacce e risse sono ormai presenza costante nelle cronache dei fine settimana sui campi della provincia Granda. E chi lo nega ha semplicemente perso di vista la realtà. Ciò che intristisce ancor di più, oltretutto, è che la situazione non cambia sui campi dei settori giovanili, quelli dove i valori di educazione, lealtà e sportività dovrebbero regnare più che altrove.
 
Winston Churchill sosteneva che “Gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio, e le partite di calcio come fossero guerre”. Smentire il celebre aforisma dello statista britannico è francamente difficilissimo, quasi impossibile. Certo, un pizzico di tensione e certe “scaramucce” sono da sempre parte integrante di una partita di calcio, ma l'escalation a cui stiamo assistendo negli ultimi anni ha del preoccupante: ciò che dovrebbe rappresentare una spiacevole eccezione sta diventando la regola. 
 
Chi scrive non ha la pretesa di imporre la propria visione dei fatti: per rendersi conto con i propri occhi dell'imbarbarimento in atto basta però recarsi sugli spalti di una partita a caso, di un campionato a caso. Se si riuscirà ad assistere a 90 minuti più recupero senza un accenno di diverbio tra i giocatori in campo, senza un insulto dalle tribune verso arbitro o giocatori, senza proteste sguaiate di calciatori e tecnici verso il direttore di gara, o ancora senza battibecchi sulle tribune, allora ci si potrà considerare estremamente fortunati, perchè una partita di pallone priva di almeno uno di questi eventi è ormai diventata un'assoluta rarità. Quasi come se dal “calcio che conta”, non avendo i mezzi per imitare le giocate dei fuoriclasse, ci si fosse accontentati di emulare solamente i lati peggiori.
 
Ma che cos'è diventato il calcio?”, si chiedeva nel 2005 Alberto Malesani, all'epoca allenatore del Panathinaikos, in una colorita conferenza stampa diventata “cult” per gli appassionati. E la domanda è più che mai calzante anche “ribaltata” sulla realtà del pallone locale: ma che cos'è diventato il calcio? Ma soprattutto, da che tipo di persone è popolato ormai il mondo del pallone? Persone capaci anche di spegnere la passione nel cuore di un ragazzo che al calcio ha dedicato più di vent'anni della sua vita. E questo è uno dei più grandi “delitti” di cui chi contribuisce all'imbarbarimento di questo sport si possa macchiare.

 
 

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