BRA - "A Fior di Pelle": danza di corpi, carezze e abbracci

Fino al 14 gennaio al Fondaco di Bra l'esposizione delle fotografie di nudo di Cristina Pedratscher, per indagare il contatto e la cura

Francesca Barbero 17/12/2022 08:30

Una danza. Di corpi nudi. Corpi che si sfiorano, si toccano e si accarezzano in un tempo sospeso e malinconico. Soli con se stessi o in coppia e a piccoli gruppi nel momento dell'incontro con l'altro e dell'abbandono. Le fotografie di "A Fior di Pelle", ultimo progetto della fotografa saviglianese Cristina Pedratscher raccontano di tenerezza e di cura. Ma fanno molto di più risucchiando delicatamente chi le osserva in un vortice di carezze e abbracci. È la prima delle 20 fotografie a invitarci a partecipare: una mano tesa verso lo spettatore. Guardando le immagini, a un certo punto è come se anche noi avessimo gli occhi chiusi, come i volti ritratti, come se prendendo parte a quella danza ci dimenticassimo della dimensione visiva, persi nel nostro trasporto e nel contatto con quei corpi. Il risveglio da una visione che ha saputo toccarci e trasmettere sensazioni tattili avviene verso la fine del percorso tramite il ritratto di un uomo accarezzato da più mani. I suoi occhi, è l'unico ad averli spalancati, ci guardano con la potenza e la consapevolezza dell'esperienza sensoriale vissuta: una danza avvolgente che è quell'abbraccio di cui tutti abbiamo bisogno. La mostra, a cura di Silvana Peira (testo di Anna Cavallera), sarà visitabile fino al 14 gennaio il giovedì, venerdì e sabato dalle 16 alle 19 o il martedì, mercoledì e domenica su appuntamento (3397889565) presso il Fondaco di Bra.
 
"A fior di pelle salirono gli sbotti usando i nervi a mo' di comodi condotti"? Come cantano i Marlene Kuntz nell'album "Senza Peso", il più “corporeo” dei loro dischi?
 
"In realtà l'ispirazione per il titolo della mostra arriva da un libro: 'Indizi sul corpo' del filosofo Jean Luc Nancy. Nancy si concentra sulla questione del tatto analizzando tutti i possibili tipi di tocco verso se stessi o verso l'altro, da quello violento di gesti autolesionisti e degli schiaffi al tocco tenero e delicato di carezze e abbracci. E usa l'espressione "a fior di pelle', solitamente utilizzata per indicare i nervi tesi e la rabbia che sta per esplodere, proprio come nella canzone dei Marlene Kuntz, per descrivere, invece, il tocco delicato e gentile di una carezza sulla pelle. Nel libro di Nancy c'è una frase che mi ha colpito particolarmente, spingendomi a scegliere di concentrarmi sul contatto tenero e delicato: "c'è infelicità...occorre tenerezza". Quando siamo infelici o tristi ci manca la cura dell'altro, che non è per forza un partner ma anche gli amici o i famigliari. È un discorso approfondito anche ne 'Il tatto' di Montagu, altro testo da cui ho preso ispirazione, in cui si parla di come la mancanza della cura e del contatto tenero durante l'infanzia portino ad avere maggiore insicurezza e mancanza di autostima nell'età adulta. Carezze e abbracci sono gesti 'a fior di pelle', tornando a Nancy, che racchiudono quella cura, verso se stessi e verso gli altri, di cui tutti noi abbiamo bisogno. Ancora di più dopo la pandemia, quando abbracciarsi e toccarsi sono diventati gesti di cui avere timore e si è perso il senso del tatto, anche con la conseguente intensificazione della realtà virtuale in un'era digitale in cui l'unico tocco possibile sembra essere quello su uno schermo. Quindi, per concludere, non c'è un riferimento vero e proprio alla canzone dei Marlene ma ci sono dei punti di contatto con le atmosfere e con alcune canzoni di quel disco".
 
Immagino si instauri un rapporto molto particolare con le persone che ritrai sia perché il genere è il nudo sia per l'atmosfera molto intima che traspare dalle fotografie.
 
"È fondamentale creare un ambiente di un certo tipo, per chi posa ma anche per me che fotografo. L'atmosfera intima del mio studio è stata stata accentuata dalla semioscurità, creata giocando con le luci, e dalla musica. Come in teatro la musica è quasi un altro attore che ti aiuta a creare l'atmosfera e spinge le persone a lasciarsi andare. Non metto mai i modelli in posa, in realtà non c'è nessun modello professionista ma danzatori, come i performer del gruppo di Contact Improvisation di Torino, che ho coinvolto nel progetto, o persone con una ricerca nell'ambito del corpo o ancora artisti con una ricerca molto corporea. Mi piace fondere linguaggio fotografico e teatrale e invito le persone a muoversi nello spazio, a esplorarsi liberamente nei gesti, dando alcune indicazioni generali come, in questo caso, passarsi le mani nei capelli, accarezzarsi o accarezzare l'altro, chiudere e riaprire gli occhi. Le persone in movimento entrano più in relazione e in ascolto con se stesse, abbandonandosi a un'introspezione e a un raccoglimento che amo osservare. Qui, più i gesti duravano nel tempo più diventavano intensi, sentiti, ed erano molto belli da fotografare non solo per fermare l'attimo in un'istantanea ma per viverlo e osservarlo in maniera più autentica. La mostra è il frutto di quei momenti di performance in cui io, scattando, sono spettatrice ma, allo stesso tempo, guardando e seguendo i movimenti, entro 'a fior di pelle' dentro quella gestualità diventando parte della performance".
 
Una dimensione performativa molto intima che proverai a replicare al Fondaco di Bra.
 
"Da quando ho iniziato a pensare alla mostra, ho l'idea di un sottofondo musicale perché la musica è stata fondamentale per l'atmosfera delle sessioni fotografiche. Un brano, all'interno della playlist appositamente creata, ha intensificato tantissimo questo aspetto: '183 Times' di Greg Haines. Mentre scattavo, immersa in quelle sonorità, vedevo affiorare dal buio solo mani e corpi che si facevano trasportare, che si toccavano e si accarezzavano. É stata un'esperienza molto forte, emozionante, amplificata dal fatto che gli occhi chiusi dei miei 'modelli' si aprivano solo quando davo l'indicazione di farlo. Per ricreare quell'atmosfera ho coinvolto Marta Mattalia perché mi piacciono molto i suoi canti Baul e la sua voce, quasi un mantra che ti trasporta in una dimensione spirituale. Marta, entusiasta, ha creato un canto per la mostra. Inoltre verrà ricreata la condizione di semibuio dello studio per far entrare i visitatori nell'intimità della sessione fotografica. Con le mie immagini mi piacerebbe riuscire a toccarli nel profondo e fare arrivare una sensazione di tipo tattile".
 
Una danza di pelle e di corpi. Dove esplodono, in tutta la loro delicatezza, dettagli come nei, peli, pelle d'oca, una lacrima....
 
"Guardando le stampe e riosservando tutti i particolari mi sono resa conto che 'A Fior di Pelle' è anche questo. Sono partita dal tatto, ricercando il contatto delle mani o della pelle contro pelle ma poi ci sono altri dettagli nati durante la sessione fotografica come una lacrima, anche lei scorre a fior di pelle, la pelle d'oca, le gocce di sudore o i capelli a contatto con il viso e con il corpo, tutta una serie di elementi che vanno ad arricchire il significato della mia ricerca. Particolari che in fotografia spesso molti tendono a togliere con il fotoritocco ma che per me sono bellissimi".
 
Perché sei legata al tema del corpo? Un tema che indaghi da quando hai iniziato a fotografare.
 
"Non so dirti se c'è una spiegazione precisa. Il corpo è un qualcosa che ho voglia di osservare, di indagare, di esplorare. Un'esplorazione che non ha mai fine perché è bellissimo da osservare tutto, nell'insieme e nel dettaglio, e affascinante perché il corpo umano è di per sé affascinante. Nelle mie fotografie mi piace osservare le persone a livello corporeo, nella loro presenza: ogni persona ha delle particolarità da mostrare, un modo di essere e un modo di muoversi, dei gesti che sono solo suoi, insomma un modo di stare al mondo. Il sistema e la società cercano di importi di stare e comportarti in un certo modo ma poi ognuno con se stesso sta nel suo modo e quello stare emerge nel movimento, motivo per cui chiedo alle persone di muoversi quando scatto. Quando ti muovi difficilmente sei impostato: semplicemente ti muovi, ti lasci andare e in quel momento sei tu, nella tua energia. Possono esserci anche freni o imbarazzi ma in quello che è il tuo modo di stare e di essere. E il corpo memorizza tutte queste informazioni...i movimenti, le ossa che sporgono dalla pelle, le cicatrici, un'increspatura o una piega della pelle. In ognuno di noi c'è un mondo, e non è solo un modo di dire".
 
La fotografia permette di guardare meglio chi hai di fronte?
 
"Assolutamente sì, la macchina fotografica mi aiuta a osservare le persone. La mia è un'osservazione silenziosa che mi porta a cercare e individuare quei dettagli che mi piacciono, a spiare i gesti e i movimenti di chi fotografo e che, in quel momento, si affida a me lasciandosi osservare. Non vedo solo nell'insieme ma mi concentro sui particolari per avvicinarmi alle persone, e questo la fotografia ti permette di farlo".
 
Le fotografie hanno un formato particolare: un cerchio inscritto in un quadrato.
 
"L'idea di un focus è partita dalla fotografia che ha dato inizio al progetto: una mano che va verso lo spettatore, quasi chiamandolo. Ho scelto istintivamente il cerchio, una forma che ti guida nella focalizzazione proprio come quando cerchi qualcosa perché vuoi farla balzare subito agli occhi e legata al simbologia della ciclicità e dell'unione".   

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