BRA - La braidese Michela Marchi tra gli ulivi in fiamme della Palestina: ‘I coloni appiccano il fuoco e attaccano i volontari’

Con gli attivisti che aiutano i contadini in Cisgiordania c’è una volontaria di casa nostra. Nel suo racconto il dramma di una terra senza pace

Andrea Cascioli 17/10/2019 12:10

È la tragedia di una terra dove la convivenza sembra impossibile, e dove perfino l’atto di raccogliere le olive come si fa da millenni diventa occasione per rinfocolare un odio implacabile. Succede lontano dalle nostre case, in quel luogo tra il Giordano e il mare che i seguaci di tre religioni chiamano Terrasanta. Nella giornata di ieri (mercoledì 16 ottobre), in un villaggio del nord della Cisgiordania a 7 chilometri da Nablus è andato in scena un nuovo attacco contro gli agricoltori palestinesi e i loro ulivi. Tra i volontari internazionali che l’hanno documentato in diretta c’è Michela Marchi, sarda di nascita e braidese d’adozione, arrivata nella West Bank solo due giorni fa insieme a un gruppo di circa 25 attivisti. Il gruppo ha affittato casa in un luogo la cui posizione non viene precisata, spiega la volontaria, per non rischiare altri attacchi: “Io sono ospite di una famiglia di contadini della rete di Terra Madre, nominano Slow Food con orgoglio e contenendo a stento il sorriso ogni volta che mi presentano a qualcuno” racconta Michela, che lavora per l’associazione ecogastronomica fondata da Carlo Petrini. I volontari sono qui per garantire una presenza internazionale nel momento più importante e delicato dell’anno, quello della raccolta delle olive: “I primi due giorni di raccolta sono stati una festa, le olive sono belle, i rami carichi. È una gioia vedere i sorrisi dei contadini che portano i frutti alla pressa. Le giornate sono luminose, fatte di caffè al cardamomo e tè alla salvia, za'atar e olio verde appena spremuto, chiacchiere e sorrisi”. Le attività degli olivicoltori vengono coordinate insieme al governo israeliano, all’Autorità Palestinese e ai principali clan della zona per prevenire violenze e vandalismi. Ma questo non basta a scongiurare gli attacchi dei coloni ultraortodossi provenienti dall’insediamento ebraico illegale di Yitzhar. Quello di ieri è stato il quarto incendio in meno di un mese: una decina i piromani, i quali hanno anche aggredito quattro volontari stranieri e il rabbino ottantenne Moshe Yehudai, cittadino israeliano e membro dell’ong Rabbis for Human Rights, che difende i contadini della Cisgiordania dalle violenze settarie. Michela ha visto le fiamme avanzare a una cinquantina di metri dal luogo in cui stava lavorando e ha fatto appena in tempo a nascondersi insieme a Doha, la donna palestinese che la accompagnava, e ad alcuni ragazzi spagnoli: “Abbiamo sentito gridare, poi il telefono ha squillato: i coloni hanno attaccato. Dovremmo allontanarci, se ci vedono rischiamo la pioggia di sassi. Ma vogliamo finire l'albero a cui stiamo lavorando. Poco dopo però vediamo il fumo, ne sentiamo l'odore, sentiamo il crepitio delle fiamme”. Tra i suoi amici c’è chi ha avuto meno fortuna come Jim, ferito a una mano e ai piedi, che confessa di aver avuto paura di morire dopo che un gruppo di giovanissimi lo ha colpito con una spranga di ferro. Il dizionario arabo/inglese che Caroline trasportava nello zaino l’ha protetta. Catherine invece l’hanno colpita alla schiena, niente di grave ma ne porta i segni. “Ai racconti degli attacchi dei coloni - continua Michela - non è facile credere, vorresti, ma non ci riesci, non capisci perché, come sia possibile, che cosa li spinga. Finché non lo vedi. Scendono dalle colline vestiti di bianco, armati, fanno paura. Questa volta indossano magliette e maschere nere, hanno tra i 18 e i 25 anni, portano mazze da baseball e spranghe di ferro”. Solo quando il vento ha portato il fuoco troppo vicino alla colonia ebraica, accusano gli attivisti, le autorità si sono decise a intervenire: “E infatti ora arrivano gli aerei antincendio, spengono il fuoco, era troppo vicino all'insediamento. Quando erano gli ulivi a bruciare non è arrivato nessun aereo, ci dice Doha. E dopo ci chiede se vogliamo ancora un po' di tè prima di riprendere la raccolta”.

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