CUNEO - Dalla "prigionia" del lockdown nasce l'ode alla natura libera del fotoreporter Dario Bosio

“On Wilderness”: un lavoro realizzato fotografando immagini di animali osservati dalla webcam. Il progetto è stato esposto al festival Paesaggi - Puntozero di Cuneo

Francesca Barbero 01/10/2022 19:41

Dario Bosio è un fotoreporter torinese. “On Wilderness”, progetto realizzato durante il lockdown, si compone di una serie di fotografie che Dario ha scattato, con una polaroid, alle immagini di animali delle webcam di parchi, santuari e riserve naturali, e di quei luoghi dove gli animali vivono in libertà, animali che osservava dallo schermo del suo computer. Una ricerca poetica e “un’ode alla natura” che ci fa riflettere sul concetto di tempo.
 
Come è nata l’idea di “On Wilderness”? Quanto tempo hai passato a guardare le webcam al pc aspettando il momento giusto per scattare o ricercando una fotografia?
“L’idea è nata durante il primo lockdown, a marzo 2020, quando ho scoperto dell’esistenza di una webcam puntata sul nido di un aquila dalla testa bianca in America. Lo stream veniva guardato da migliaia di persone, e anch’io ho cominciato a collegarmi quotidianamente per osservare la vita di quell’animale
attraverso lo schermo. Mi è tornato in mente un libro di John Berger, ‘Perché guardiamo gli animali’, e le sue riflessioni sulla cattività e il rapporto che abbiamo con gli animali nella società occidentale, un rapporto basato principalmente sullo sfruttamento e, appunto, la prigionia. L’aquila che guardavo invece era libera, ero io ad essere imprigionato. Questo ribaltamento di prospettiva mi pareva interessante, così ho cominciato a cercare online altre webcam che mostrassero animali in libertà, scoprendo una comunità di appassionati enorme, con forum dedicati alle webcam di parchi naturali e riserve. A quel punto ho cominciato a scattare, cercando di ampliare il più possibile il tipo di animali e zone geografiche rappresentati. Per alcune immagini aspettavo anche ore. Spesso lasciavo lo stream aperto su uno schermo mentre lavoravo su un altro, e ogni tanto guardavo se c’era qualcosa di interessante che accadeva. Quando capivo che stava per succedere qualcosa - l’arrivo di un animale, o una luce particolare - allora prendevo la polaroid e scattavo. Per alcune immagini invece ho aspettato un momento in particolare che avevo previsualizzato. C’è una foto di un avvoltoio con le ali aperte di fronte a un mare di nebbia, quella è un’immagine che avevo immaginato e, giorno dopo giorno, mi sono collegato all’alba aspettando quel momento”.
 
Le fotografie in mostra emanano grande poeticità. Potremmo parlare di paesaggio dell’interiorità? Che cos’è per te il paesaggio?
“L’aspetto onirico e etereo delle immagini è una scelta consapevole. Per scattare ho usato una Polaroid SX-70 e delle pellicole scadute, con cui fotografavo lo schermo - questo mi ha permesso di nascondere i pixel e dare ‘organicità’ alle immagini. Non cercavo l’estetica della internet art, volevo che le immagini avessero una loro fisicità, ed è secondo me questo aspetto estetico a conferire poeticità al progetto, oltre alla fascinazione che abbiamo verso gli animali selvatici a livello inconscio. Rappresentano sicuramente un modo di sentire, un mondo interiore, l’espressione di un sentimento. È anche un po’ un’ode alla natura, e alla bellezza dell’animale in sé. Le componente estetica è molto calcata, ne sono consapevole, ma in quel momento storico, fatto di chiusure, di paesaggi urbani e volti coperti, la fisicità e la libertà incarnata dagli animali rappresentavano qualcosa a cui aspirare, un ideale di libertà. Il progetto non parla di paesaggio in sé, ma del rapporto tra uomo e natura, che in fondo è un modo di fare paesaggio, di avere esperienza del paesaggio, inteso come stratificazione di elementi - geologici, vegetali, animali e, in ultimo, umani. Guardare il paesaggio, e guardare gli animali, è una maniera di ricordare e essere parte di questa stratificazione, e di essere consapevoli di essere solo uno degli elementi che creano il paesaggio - l’ultimo in ordine di apparizione”.
 
“Fammi tornare a guardare le nuvole passare, le volpi davanti alla cattedrale, i cervi per le strade. Siamo solo due forme di vita sul terzo pianeta del sistema solare” canta Vasco Brondi. Nel lockdown gli animali erano liberi e si sono riappropriati delle “nostre” città. La pandemia ci ha fatto capire che è necessario trovare un nuovo equilibrio con la natura?
“Abbiamo capito che qualcosa nel nostro rapporto col mondo naturale non va. Non solo per la pandemia, anche per il clima sempre più estremo, la scarsità delle risorse naturali. Abbiamo avuto conferma che non si può avere una crescita infinita su un pianeta finito. La pandemia è stato un campanello d’allarme molto forte, ma sta a noi rifiutare il modo di pensare e di fare economia che ha creato questo squilibrio, tornare a un mondo più lento, rallentare, ridare valore al proprio tempo”.
 
Il tempo. Gli animali hanno un diverso concetto di tempo, tornando a Berger.
“Lavorando al progetto mi chiedevo per quale motivo fosse così interessante osservare gli animali e i loro comportamenti in webcam. Una delle risposte era la riflessione su un diverso concetto del tempo, che il lavoro mi portava a fare. Già il lockdown ci stava facendo pensare al nostro rapporto con il tempo ma guardare, e cercare di capire, la temporalità di un animale osservandolo, anche se da lontano, era avere un’altra esperienza di tempo. Un tempo più lento, basato sui bisogni primari e non sulle attività con cui riempiamo le nostre giornate. Noi stessi siamo animali e ricordarsi che l’esperienza del tempo può essere di tipo diverso, in un mondo postpandemico dove ci siamo costretti a uno stop forzato, forse anche per uno sbilanciamento del nostro rapporto con il mondo naturale, per me era estremamente interessante e anche uno spunto di riflessione sul tipo di vita che stiamo vivendo, su come occupiamo il tempo che ci è dato e sul perché spesso lo sacrifichiamo per attività che non hanno a che fare con il sopravvivere”.
 
Parlare di tempo mi fa pensare alla morte. E al tabù della morte della società occidentale. Quanto influisce questo tabù, che in altre culture non c’è, nel nostro rapporto con il tempo?
“La morte fa parte del mondo naturale e da reporter che ha lavorato in zone di guerra ne ho avuto esperienza ravvicinata più volte. È vero, la società occidentale ha nascosto la morte relegandola agli ospedali e alle case di riposo. Ne abbiamo un’esperienza molto asettica mentre in altre culture è vissuta in modo diverso. Sarebbe romantico dire che non è un evento traumatico e doloroso perché non è così
però, sì, c’è l’idea che la morte faccia parte della vita”.
 
Un evento naturale? Noi occidentali ci crediamo immortali, neghiamo la morte nascondendola. Ma, così facendo, forse non comprendiamo il valore del tempo.
“Sì, è un evento che ci si aspetta. Nella nostra società occidentale un po’ la morte ci sorprende. Credo che lo sprecare il tempo derivi dall’idea che noi saremo qui per sempre, più che dal rapporto che abbiamo con la morte. E quindi c’è l’idea della crescita infinita, che poi è quella dell’economia capitalista e neoliberista estrema. Ma l’essere umano è finito ed è più salutare ricordarsi che siamo vivi qui ed ora. Forse domani no”.
 
Osservandoli, c’è un animale che hai sentito più vicino a noi esseri umani?
“È difficile da dire perché guardare gli animali in natura significa vederli, appunto, in natura, dove hanno poco di umano. Guardare un elefante che si abbevera in una riserva naturale africana è osservare un essere vivente che soddisfa un suo bisogno primario. Noi esseri umani, figli della ragione, spesso ci vergogniamo dei nostri bisogni primari, molti li consideriamo tabù. La domanda che dovremmo porci è quanto di animale c’è ancora in noi, e riconnetterci a quella parte istintiva e al mondo naturale, abbandonando il nostro punto di vista puramente razionalistico”.
 
Dopo aver lavorato a “On Wilderness”, che cos’è per te il tempo?
“Non so rispondere a questa domanda ma posso dirti com’è il mio rapporto con il tempo, una risorsa di cui sento di avere troppo poco. Ultimamente sto riflettendo molto sul tipo di vita che ho condotto, che conduco e che vorrò condurre. Con il lockdown c’è stata una cesura nelle nostre vite e una rivalutazione di tanti aspetti, a livello professionale e di vita personale. Il tempo è una cosa che sento di voler dedicare sempre di più a me stesso, alla cura di me e degli affetti, invece di considerarlo, di nuovo, una risorsa investibile per raggiungere obiettivi materiali. Il tempo è prezioso in sé e non sono più disposto a scambiarlo come una moneta per un’esperienza materiale. Vorrei vivere il mio tempo e averne un’esperienza piena piuttosto che svenderlo”.

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