CUNEO - Il piemontese in via d'estinzione? "Eppure con questa lingua si è fatta l’Italia!"

Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di un lettore a pochi giorni dalla giornata italiana dei dialetti

Redazione 19/01/2023 16:27

Riceviamo e pubblichiamo.
 
Ho letto con molto interesse l’articolo a firma di Micol Maccario a cui porgo i complimenti per aver trattato, nel silenzio assoluto degli organi di stampa, che il 17 gennaio 2023 è la giornata italiana dei dialetti e delle lingue locali, soffermandosi sul piemontese, la nostra lingua madre, da troppo tempo bistrattata se non derisa, dopo essere stata per secoli la lingua dei Savoia. Su questo argomento quanto ci sarebbe da dire, ridire e rivedere, ma non è questo il momento più adatto.
     
Allacciandomi alla frase iniziale dove il nonno lo definisce con una frase tipicamente piemontese: “Ti capises niente ‘d piemontèis”, denota già una differenza esistente tra il ”Parlé ‘n piemontèis” e lo scrivere in questa lingua (e non dialetto). Quale sarebbe la differenza? Semplice, la lingua piemontese, come tutte le lingue scritte, ha una grafia, una grammatica, una storia, una letteratura abbondante, sia come poesie o come prose, con dizionari e vocabolari e se vogliamo, ad una “Koinè” regionale oltre alle varianti locali. Sono centinaia e centinaia i poeti e scrittori in piemontese, ma si sa, è come non esistessero.
 
Ritornando alla frase sopracitata la dicitura esatta è: “Ti it capissi gnente ’d piemontèis”, oppure con la variante del Marchesato di Saluzzo la cui desinenza finisce in “es“. "Ti it manges, ti it cantes, ti it cores, ti it bèives" (Tu mangi, tu canti, tu corri, tu bevi). Da notare le particelle "Ti it" che esistono solo nella grafia piemontese, dove si perdono nel colloquiare.
 
Quest’esempio è lampante nel dimostrare che la nostra lingua naturale, come tutte le lingue deve essere: studiata, letta e scritta oltre che parlata da chi si sente ancora piemontese e non dover essere etichettato con “Un piemontèis passà sla rapa” o “Piemontèis dël pento”.
 
Dopo questo disquisizione sul tema, non bisogna essere un indovino nel prevedere l’estinzione dei così detti “dialetti”. È solo questione di tempo visto la noncuranza o la negligenza da parte delle istituzioni in generale e delle supponenti sedi culturali, dove le lingue naturali che sono le vere e uniche custodi delle tradizioni dei popoli vengono bellamente ignorate, salvo in determinate località italiche dove fanno bella mostra di sè.
 
Quelle “parlate” fanno parte della cultura, mentre il piemontese e no! Eppure con questa lingua si è fatta, a suo tempo, l’Italia, e questa è la ricompensa! Questo non è pessimismo o tanto meno nostalgia, ma è la triste constatazione della deriva con cui stiamo contribuendo alla rimozione di tutto ciò che riguarda le nostre radici. Voglio ricordare un frase del grande poeta piemontese Armando Mottura: “Ogni piemontèis an sò vilage, a deuv parlé an sò lengage!”.
 
Ringrazio e ossequio.
 
Lettera firmata
 

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