CUNEO - Luciano Violante ospite a Scrittorincittà: "Per tre volte hanno cercato di assassinarmi"

Il politico ed ex magistrato ha condiviso pagine della sua vita che lo hanno particolarmente segnato presentando il suo libro “Insegna Creonte. Tre errori nell’esercizio del potere”

s.d. 20/11/2021 09:28

Ieri sera presso il cinema Monviso di Cuneo, nell'ambito di "Scrittorincittà", si è tenuto un incontro con l’ex magistrato, politico e accademico Luciano Violante, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro “Insegna Creonte. Tre errori nell’esercizio del potere”. Intervistato dal giornalista Paolo Griseri, Violante ha condiviso frangenti della sua vita che lo hanno formato e segnato profondamente, soffermandosi sulla complessità nel ricoprire ruoli all’interno della politica. Lo scrittore lo fa partendo da un mito, quello di Antigone, che vede il protagonista Creonte incarnare appieno il morbo della politica, l’illusione dell’onnipotenza. La sua vuole essere una critica a una parte di politica che pecca di supponenza, arrivando ad individuare tre dei più grandi errori che un politico può fare: aprire un conflitto che non si è in grado di governare (come quello iniziato da Creonte), sopravvalutare le proprie capacità e peccare di arroganza e supremazia.
 
Un esempio lampante è quello della Libia, - afferma Violante – quando Sarkozy decise di abbattere Gheddafi. Una volta bombardato il paese, si aprì un conflitto che ancora oggi, a distanza di anni, non si riesce a chiudere; questo è solo un esempio classico di come sia pericoloso aprire un conflitto, senza prima analizzare le conseguenze che questo potrà avere”.
 
Tra la fine degli anni '60 e l’inizio degli anni '70 accadono alcuni fatti che scuotono profondamente la società italiana: “Nasce il femminismo, in una società dove i partiti sono impregnati dal maschilismo, nasce l’ambientalismo in un’epoca in cui i partiti sono industrialisti – continua Violante – , ci sono tentativi di colpi di stato che nascono dall’interno di apparati pubblici, il che stava a significare che la Democrazia Cristiana non li controllava più. La robotica cambia il modo di produrre perché la catena di montaggio di prima, che era diventata una vera e propria comunità politica formata da centinaia di persone all’interno delle fabbriche, scompare quasi del tutto. Tutto questo fa perdere ai partiti i propri punti di riferimento, comincia a rompersi così il rapporto tra società e partiti. Di fronte a questi fenomeni, gli unici che cercano di trovare delle soluzioni sono Moro e Berlinguer, che vogliono parlare con i giovani e capire perché questi vogliano impugnare le armi”.
 
Nel libro si parla per l’appunto di Moro e della fine della guerra fredda, di crimini terroristici e stragi della mafia: “Il clima che si respirava in quegli anni era molto ostile, uscivo di casa la mattina non sapendo se la sera avrei fatto ritorno. Solo dopo scoprii che tentarono di assassinarmi per ben tre volte: la prima mi risparmiarono perché con me c’era mio figlio che all’epoca era solo un bambino, la seconda volta l’arma si inceppò, l’ultima volta invece venni avvisato dalla scorta del partito che insistette sul non farmi uscire di casa quel giorno. Spesso con alcuni colleghi mi ritrovavo a parlare di questo tema estremamente sensibile, perché il problema della morte era reale. Ciò che ci dava la forza di andare avanti era sapere che se fosse accaduto l’inevitabile, non saremmo morti invano
perché avevamo persone che ammiravano il nostro lavoro, consapevoli che i nostri sforzi stavano aiutando moltissima gente”.
 
L’incontro si è concluso con una domanda del giornalista Griseri: “Qual è l’errore che rimpiange di aver fatto?”. “In politica ho fatti molti sbagli, - sostiene Violante - soprattutto all’inizio della mia carriera in quanto ero molto giovane, ma non di grande rilevanza. Un errore importante l’ho fatto affrontando il caso dell’omicidio di Francesco Coco, magistrato assassinato dalle Brigate Rosse. Quando trovammo il brigatista autore del fatto, in Valle D’Aosta, con un’arma da guerra non denunciata nella sua abitazione, egli venne immediatamente arrestato, condannato e infine incarcerato per l’omicidio. Anni dopo, quando già lavoravo al Ministero e non mi occupavo più di magistratura, venni a conoscenza dalla sorella che il signore era innocente. Capì che la sentenza era sbagliata e mi permisi di andare a parlare con i giudici che si occupavano del suo caso, facendo capire loro che l’accusato era innocente, questo è stato probabilmente l’errore più grande che abbia
mai fatto nella mia carriera”.

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