CUNEO - Mancano 100 medici nei comuni delle valli piemontesi

Non bastano incentivi, bandi e la prospettiva di una vita all’insegna della tranquillità per far tornare la gente a vivere in montagna. Chi vorrebbe vivere in un luogo in cui mancano i servizi essenziali?

Redazione 12/11/2022 16:48

Lo spopolamento che ha toccato i paesi di montagna negli ultimi anni non è un segreto. Per far fronte a questo fenomeno nel 2021 sono stati stanziati 10 milioni di euro volti a offrire un contributo da 10mila a 40mila euro a coloro che decidevano di trasferirsi in un piccolo borgo delle nostre valli. “Voglia di ritmi più lenti e in armonia con la natura? Di luoghi incontaminati in cui respirare a pieni polmoni e far crescere i propri figli in libertà? Di un posto diverso dove continuare il proprio lavoro, sempre più connesso e smart, o in cui iniziare magari una nuova attività?” così recitava il bando promosso dalla Regione Piemonte che coinvolgeva 132 comuni della provincia Granda. Assaporare la bellezza dei cieli tersi e del silenzio più totale è un sogno diffuso, in particolare dopo che la pandemia ha relegato molti di noi in appartamenti da 50 metri quadrati, in cui anche avere un balcone è sembrato un privilegio.
 
Se vivere in montagna può sembrare un ottimo modo per scappare dai ritmi impazziti della città, in realtà ha un costo talvolta non trascurabile, che incide sulla qualità della vita. I borghi delle valli cuneesi non sono sempre così connessi e spesso i servizi essenziali non sono garantiti ovunque. Recentemente il consigliere dei Moderati Silvio Magliano ha sollevato il problema della mancanza di medici di base nelle zone montane. All’appello mancherebbero almeno 100 professionisti tra medici di base e guardie mediche notturne in 550 comuni montani.
 
A livello regionale nel 2019 c’erano 3109 medici di base, attualmente se ne contano 3057, ma il dato è destinato a scendere ulteriormente. Secondo i dati offerti dalla Regione “tra il 2017 e il 2022 sono andati in pensione circa 900 medici di base: si stima che altri 1.700 lasceranno tra il 2023 e il 2032”. I nuovi assunti, anche a causa del numero chiuso universitario, non sono abbastanza da riempire i vuoti e la situazione si aggrava nel periodo estivo con l’aumentare dei turisti nelle valli e il popolarsi delle case di villeggiatura.
 
Secondo i dati della fondazione Openpolis riferiti al 2019 in Piemonte in media ci sono 370,31 medici ogni 100mila abitanti. Ci troviamo in fondo alla classifica nazionale, insieme a Valle d’Aosta, Basilicata, Veneto, provincia autonoma di Trento e di Bolzano. Stando ai dati offerti dalla delegazione piemontese dell’Unione Nazionale dei Comuni delle Comunità e degli Enti Montani (UNCEM) in valle Stura sono rimasti solo tre medici, in altre zone come in valle Soana dal primo ottobre non sarà disponibile nemmeno un medico di base. La situazione “è cronica ovunque” dice il presidente di UNCEM Roberto Colombero. “Il problema è che non si trova un modo per remunerare i medici liberi professionisti. I posti vacanti sono tanti e i medici per comodità scelgono le città” continua. Per il personale sanitario è molto più redditizio, oltre che più comodo, scegliere i centri più grandi rispetto ai piccoli borghi montani. I comuni dei valloni laterali sono privi di ambulatori”, di conseguenza le persone devono spostarsi per 10-15 chilometri, a volte anche di più.
 
La situazione peggiora ulteriormente se si analizza la situazione dei pediatri, in questi casi i chilometri raddoppiano. “Spesso - afferma Colombero - si trovano a fondovalle. A volte salgono più in montagna un’ora a settimana, ma non è un servizio sufficiente per chi ha bimbi piccoli”. Tra le misure adottate, ad oggi, è stato consentito ai medici “per un tempo determinato di sei mesi rinnovabili per tre volte, di coprire un maggior numero di pazienti, passando dai 1500 pazienti stabiliti a livello nazionale ad un tetto massimo di 1800”, si legge sul sito del Consiglio Regionale del Piemonte. L’UNCEM aveva richiesto alla Regione di intervenire, ma con il Covid tutto si è fermato. “Apprendendo dall’esperienza della pandemia sarebbe necessario rivedere tutto il sistema sanitario territoriale. In caso contrario qualunque intervento per far tornare la gente in montagna rischierà di essere vano” ha concluso Roberto Colombero.
 
Forse 40mila euro e uno slogan sulla vita lenta a contatto con la natura non bastano per convincere i giovani a ripopolare le valli piemontesi. Nessuno vuole vivere in luoghi in cui i servizi essenziali non sono garantiti. Bisognerebbe ripartire dalle basi e offrire trasporti, asili nido, centri di aggregazione per i ragazzi, un numero adeguato di medici e pediatri. Vivere in borghi in cui la quotidianità ha un ritmo diverso da quello delle grandi città, dove si può assaporare il piacere di tornare a casa e passeggiare in borgate semideserte in cui l’unico suono che spezza il silenzio è quello del leggero vociare, è per molti un privilegio. Ma questo privilegio vale la pena di essere goduto se il contrappasso è la rinuncia a trasporti validi, sanità e ai servizi di assistenza alla persona? “Solo garantendo servizi efficienti e capillari eviteremo lo spopolamento delle nostre aree montane e delle nostre valli” ha affermato Silvio Magliano. Solamente creando un’infrastruttura innovativa la vita in montagna potrà davvero tornare.
 
Articolo pubblicato sul giornale cartaceo di Cuneodice.it in edicola giovedì 10 novembre.

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