CERVASCA - “Non lasciamo l’ambiente alle lobby dell’acqua minerale e dell’allevamento”

Le riflessioni a tutto campo di un abitante della montagna: “La crisi climatica bussa alle porte e gli ingorghi di tir a Demonte sono il sintomo di uno Stato assente”

Redazione 12/03/2022 11:16

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione di Michael Willemsen, l’archeologo di origine belga che dal 2017 ha scelto di stabilirsi nella borgata “fantasma” di Pratogaudino a Cervasca (qui avevamo raccontato la sua storia):
 
 
Da qualche settimana ho deciso di coltivare un orto e di cuocere il pane a casa. Ho spento anche il frigorifero, perché d'inverno a mille metri il cibo si conserva perfettamente in una scatola, all'esterno della baita. Che senso ha far girare un elettrodomestico che raffredda in una cucina che si riscalda? Anche d'estate preferisco l'ombra degli alberi piuttosto che accendere un climatizzatore. E poiché in questi anni a Pragudin sono diventato una specie di eremita prepensionato, ho anche deciso di rottamare la macchina. A cosa mi serve, con tanto tempo a disposizione e nessuna voglia di allontanarmi da questi boschi? Non c'è granché di rivoluzionario in queste decisioni, comunque. La stravaganza militante non fa per me. Non si può nemmeno dire che siano decisioni imposte dal carovita o dalla penuria di guerra. No, sono stati invece atti spontanei, naturali, germogliati dall’humus comune del vecchio buon senso. È un modo di riscoprire la frugalità di ieri, come si viveva in borgate come queste. Valori semplici, poi scesi a valle con l'esodo rurale, più o meno sprofondati nella confortevole melma del benessere.
 
"Ah ma tu sei un idealista, un ecologista ideologizzato!". Non credo proprio. Da individualista liberale, semmai sono a mio modo 'radicale', nel significato etimologico del latino 'radix': pragmatico abbastanza da considerare le cose dalla loro radice. Vivo in una società liberale dove si mette al centro la libertà e la responsabilità individuale, il tutto inquadrato dalla regolamentazione di uno Stato di diritto, anche in materia ambientale. Ed ecco l'inghippo. Oggi, chi dovrebbe regolamentare e fare politica, spesso non lo fa. Eppure, la crisi climatica bussa alla porta da anni.
 
In questo periodo, la siccità è una minaccia, forse la priorità numero uno da affrontare. Il presente e il futuro di una provincia, di una regione, non può, non dovrebbe essere continuamente in balia dei capricci del meteo. La scienza, la tecnologia, ma anche quel buon senso pratico di cui dicevo, a cosa servono se non per trovare soluzioni concrete? Dove sono gli interventi urgenti, come gli invasi a basso impatto ambientale? Ma soprattutto, nello scenario attuale, dov'è finita la politica stessa?
 
Le istituzioni esistono per tutelare i diritti, e non certo per asservire i cittadini alla legge del più forte. L'irriducibile autonomia della decisione pubblica rispetto ai fattori legati all’economia di mercato - se mai è esistita da qualche parte -, in teoria dovrebbe intervenire con forza quando un'attività privata è nociva all'ambiente, alla qualità di vita delle persone, alla collettività. Andrebbe quantomeno frenata, non incentivata a fare ulteriori danni. Sono queste piccole gocce di 'business as usual', di ordinaria irresponsabilità pubblica, che a un certo punto finiscono per fare traboccare il vaso (se ci fosse pioggia). Un giorno è un imprenditore del settore zootecnico che ci fa sapere, con un cinismo senza pari, quanto la sua attività sia fondamentale per l’ambiente. Naturalmente qui non si parla dell'allevamento tradizionale e delle antiche pratiche agrosilvopastorali, bensì dell'allevamento intensivo. Un settore che inquina più dell'intero settore dei trasporti, per intenderci: il suolo, le falde acquifere, l'aria che respiriamo.
 
Poi è il turno della lobby dell'acqua minerale imbottigliata che vuole captare altre sorgenti, tramite nuove concessioni. Con le restrizioni di acqua potabile all'orizzonte, l’imbottigliamento dell'oro blu è diventato una manna. A prescindere del fatto che l'acqua sia un bene comune e che dovrebbe essere una risorsa accessibile a tutti, la conseguenza diretta di questo progetto in Valle Stura è di accrescere ancora il volume di traffico dei mezzi pesanti. E di conseguenza l'inquinamento atmosferico e acustico, per non parlare delle vibrazioni, o del semplice rischio per l’incolumità fisica. Gli ingorghi quotidiani di tir a Demonte sono l'immagine grottesca di questo scempio, ma anche il sintomo di uno Stato assente, o di una politica compiacente con un potere affarista da cui, nel peggiore dei casi, si lascia allegramente corrompere. Se poi uno protesta, il discorso è sempre lo stesso. Si ricatta il cittadino con la promessa dei posti di lavoro. Si specula così non soltanto sulla siccità di una provincia ma anche sulle illusioni dei suoi cittadini. Tutto questo non ha nulla a che vedere con un autentico sviluppo, un vero benessere, qualcosa di positivo che possa andare a beneficio di tutta la comunità. Si potrebbe comprendere questa deriva se fossimo in qualche regione scarsamente regolamentata del terzo mondo, dove le imprese inquinanti fanno la legge. Ma no, questa devastazione si svolge sotto i nostri occhi, qui e ora.
 
Serve dunque un maggiore coraggio politico, una maggiore responsabilità per proferire dei "no, adesso basta con la retorica, torniamo ai fatti". Soprattutto, non andrebbero più regalate concessioni dannose o finanziati con i soldi dei contribuenti tutte quelle imprese che fanno 'greenwashing' solo per continuare a inquinare più indisturbati. Oggi non è inaccettabile che una ditta che fa transitare centinaia di camion al giorno in una valle montana cerchi di espandersi, a caccia di altri sorgenti, in piena emergenza idrica. O che dei fondi del PNRR e altri contributi continuino a essere indirizzati verso i settori più inquinanti dell'agricoltura intensiva. Per adesso con il pretesto del rincaro del mais russo-ucraino, domani per altre ragioni. Non sarebbe più semplice concludere, una volta per tutte, che alcuni modelli di produzione siano ormai obsoleti e insostenibili?
 
Eppure, ci sono anche segnali positivi nella difesa del bene comune. Dopo vent'anni di lotta in tribunale, la gestione dell'acqua nel cuneese non sarà finalmente privata ma resterà pubblica. È stata vinta un'importante battaglia, senza la quale molte realtà 'periferiche' come le piccole borgate montane sarebbero definitivamente state abbandonate alla legge del profitto.
 
Michael Willemsen

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