DRONERO - Otto voci per aprire il dialogo. Michela Marzano a Dronero e la necessità di saper ascoltare i ragazzi

L'autrice del libro "Qualcosa che brilla", ospite al Ponte del Dialogo: "Bisogna saper ascoltare il silenzio per poter sentire i giovani"

Piero Coletta 09/11/2025 11:17

"Il tema dell'ascolto, del vedere, dell'accogliere, del prendere per mano, del restare con, sono temi centrali di questo ultimo romanzo, che è molto diverso dagli altri libri che ho scritto, nel contenuto e nella forma". Così esordisce Michela Marzano, ospite presso il Ponte del Dialogo di Dronero, nel presentare "Qualcosa che brilla".  "Un libro intenso, un romanzo corale che mette al centro la voce dei ragazzi della generazione Z. Sono otto ragazzi e ragazze, dai 14 ai 19 anni e che rappresentano ciò che molti altri stanno vivendo in questo periodo". Otto ragazzi che frequentano il centro "La Ginestra", aperto dal professore Mauro Rolli, psicanalista. "Una generazione di cui si parla poco e male, perché si immagina che siano esattamente come erano i ragazzi trenta anni fa. In realtà si è cresciuti con riferimenti diversi, con bisogni diversi rispetto ai ragazzi di oggi-  prosegue Michela Marzano - . Quello che vorrei affrontare è il tema della sofferenza dei giovani, dei sintomi che non sono malattia. Per quanto se ne dica i ragazzi di oggi, pur stando male, non sono malati. Non c'è niente da riparare. Se c'è qualcuno che è malato forse siamo noi adulti e intendo genitori, zii, insegnanti e nonni".  Un libro strutturato in più parti: nella prima viene dato spazio alla voce dei ragazzi che si presentano al dottor Rolli, uno psichiatra un po’ fuori dagli schemi, che nel corso del romanzo affronterà a sua volta un personale percorso di crescita. Ma perché iniziare così, con questo preambolo dove appunto sono i ragazzi a prendere la narrazione? Un libro nato per dare voce ai ragazzi "Se ho voluto iniziare così è perché volevo dare un po' di tono a questo libro. Sono i ragazzi che parlano. Si presentano la prima volta a Mauro Rolli, oppure perché vengono accolti in questo centro dove si svolgono dei gruppi di parola guidati da Mauro stesso. Pian piano saranno questi gruppi di srotolare la propria storia. Perché dietro quelli che sono dei sintomi molto diffusi tra giovani e anche adulti come disturbi alimentari, fobie sociali, scarnificazioni, ci sono delle persone che hanno bisogno di essere raccontate".  Il tema dell'ascolto è centrale in questo romanzo. Nato quando, una volta rientrata in aula in università a Parigi dopo la pandemia e il lockdown, Michela Marzano si rende conto di ragazzi totalmente diversi. "Ho iniziato a frequentare dei centri in Francia dove vengono accolti i ragazzi e organizzati gruppi di psicoterapia. Ho iniziato a frequentare questi posti per ascoltare con una doppia metodologia: da una parte l'osservazione partecipata, dall'altra l'ascolto psicanalitico. Io ho avuto dei disturbi del comportamento alimentare, sono stata per vent'anni in psicanalisi e questo mi ha salvato la vita. Ascoltando questi ragazzi mi sono resa conto che quello che si diceva in televisione non era corrispondente ai ragazzi. Ma soprattutto, facendo tesoro della loro voce, mi sono apparsi gli otto protagonisti di questo romanzo". Manca autorità? No, manca l'autorevolezza. Manca l'ascolto Michela Marzano dà attenzione e voce ai ragazzi, ma sottolinea un difetto attuale. Si parla di giovani con una clinica rimasta ferma a trenta anni fa, quando invece anche questa è progredita, un po' come se la generazione successiva fosse un sintomo di quella precedente. "I ragazzi non hanno più modelli perché noi non siamo adulti credibili o autorevoli. Qualcuno richiama al ritorno dell'autorità, ma questa non può esserci se non c'è autorevolezza. Il messaggio è 'Noi non ci fidiamo degli adulti'. Hanno ragione, perché il più delle volte noi diciamo una cosa, pur facendo l'esatto contrario. Se il modello non è credibile chi prendo come riferimento o a cosa mi devo contrapporre?".  Proseguendo, la Marzano torna a parlare degli epsiodi di cronaca sui ragazzi che rifiutarono di sostenere l'esame di maturità orale come protesta verso un sistema di valutazione: "Vogliamo contestare un sistema di valutazione, una concorrenza, perchè soffriamo ed è vero, quale è stata la risposta? Orale obbligatorio, si farà senza sapere il risultato dello scritto. Stanno davvero male o sono svogliati? No, stanno male, ma se ne parla poco e soprattutto male".   Un’analisi di una generazione che ha bisogno di essere ascoltata e che spesso esprime il proprio disagio attraverso gesti estremi: tagli, disturbi alimentari o, nei casi peggiori, il suicidio. Troppe volte, purtroppo, ci si accorge di tutto questo solo quando è ormai troppo tardi. "La maggior parte di questi ragazzi non sono malati: sono come noi, semplicemente nevrotici, ma con dei sintomi che sono sopra la soglia. E quando questo avviene impedisce di vivere, ma il sintomo dice qualcosa del loro dolore. Perché tutti i ragazzi vanno a scontarsi con il muro della trasparenza e dell'invisibilità. Con adulti poco credibili che non li ascoltano. E i ragazzi, sapendo questo non parlano, ingoiano. E a forza di ingoiare qualcosa esplode, E quel qualcosa è il sintomo".  I ragazzi di Qualcosa che brilla però brillano di qualcosa, ma quando? Quando hanno la possibilità di essere ascoltati. "Esattamente come tanti ragazzi della Generazione Z scendevano in piazza per manifestare per l'ambiente oppure come oggi contro il genocido di Gaza. Ed era pieno di ragazzi che si stavano battendo contro l'ingiustizia. Perché loro sanno cosa è giusto e cosa no, ma quello che percepiscono da parte di noi adulti è l'ingiustizia di non essere visti e riconosciuti per quello che sono".  Perchè ascoltare il silenzio  Nel momento conclusivo l'autrice fa riferimento ad uno dei capitoli finali del libro. "In un silenzio che parla, Viola prende il cellulare e legge una lettera scritta da un ragazzo per il funerale di un compagno di classe, suicidatosi prima dell’esame di maturità. Sono molti gli episodi simili, anche prima della laurea: giovani che non trovano la forza, il coraggio o semplicemente l’ascolto necessario da parte dei genitori. Non parlano perché sanno che non verrebbero ascoltati. È l’unica parte del libro che non appartiene alla finzione. Quello che manca è ascoltare il silenzio: i nostri figli, nipoti, studenti. Ascoltare il silenzio. È difficilissimo. Vi ricordate quel gioco dove perdeva chi rideva per primo? Dovessimo farlo oggi sarebbe 'vediamo chi piange per primo'. È difficilissimo ascoltare il silenzio, perché vuol dire entrare in contatto con le proprie fratture e vuoti. Ma se noi non entriamo in contatto con questo, noi non potremo mai ascoltare il silenzio dei ragazzi. E quindi arrivare prima che il sintomo si scateni". 

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