CUNEO - Partecipazione: i living labs come esercizi di futuro?

Si parla di progettazione partecipata, ma poi la si riduce a supplemento di legittimazione. Per intervenire con efficacia sullo sviluppo di un territorio gli strumenti non mancano: serve la volontà politica di utilizzarli

Gabriele Orlandi 02/02/2023 15:34

Che la si trovi declinata nella forma di interventi, percorsi, presentazioni, performances o progetti, la partecipazione ha, da qualche anno, il vento in poppa. Il suo elogio, sintomo senza dubbio delle difficoltà crescenti che vivono le dinamiche di rappresentanza e delega si accompagna molto spesso agli appelli, ormai innumerabili, a far uscire la Politica (aristotelica, ça va sans dire) dalle aule in cui era stata richiusa, o a superare la dicotomia tra artista e pubblico, o ancora a coinvolgere nei processi decisionali coloro che ne dovrebbero essere i destinatari. Mentre sull’esistenza di un qualche tipo di scollamento nessuno sembra aver dubbi, nel momento in cui ci si azzarda a ipotizzare a quale ponte si potrebbe gettare su questo abisso le opinioni e le proposte si fanno discordanti, quasi che, una volta che è stata invocata e prescritta, la partecipazione faticasse a concretizzarsi, a essere misurata e valutata. Tra le possibili “ricette” spiccano, da qualche tempo, i living o future labs, laboratori, o meglio, percorsi di elaborazione e sperimentazione di soluzioni innovanti, che si stanno rapidamente affiancando a proposte di tutto rispetto come i forum di quartiere o i bilanci partecipativi, ormai consacrate dall’ortodossia partecipazionista.
 
Più che un vero strumento o metodo che potrebbe essere utilizzato “chiavi in mano”, il termine indica un insieme di percorsi di rigenerazione territoriale accomunati da una certa “aria di famiglia”. Dal 2006 a oggi, una rete internazionale, l’European Network of Living Labs ne ha recensiti quasi 450. Vale quindi la pena soffermarsi con calma su questi percorsi, al fine di comprenderne tanto le potenzialità quanto gli inevitabili limiti. Ad accomunare queste esperienze diverse per scala, ambito di applicazione, paese e obiettivi c’è la dimensione di sperimentazione aperta, in cui non ci sono esiti prefissati, la centralità assegnata all’esperienza delle persone, prese individualmente o collettivamente, nella valutazione di nuove proposte e idee, e infine, il costituirsi come momenti di scambio e apprendimento collettivo, al di là delle differenze gerarchiche o professionali: l’ibridazione, l’esperienza soggettiva, l’esito incerto e la produzione di conoscenza ne sono quindi dimensioni costitutive. Tra i diversi living o future labs recensiti è poi possibile tracciare alcune distinzioni sulla base del tempo a disposizione e della portata dell’innovazione che si vuole realizzare: si distinguono così living labs ad alto contenuto di tecnologia e finalizzati alla valutazione di servizi e prodotti con gli utenti, esperienze civiche o di cittadinanza attiva, incentrate sul miglioramento della qualità della vita grazie a servizi collettivi, gestiti da attori della società civile, o ancora sperimentazioni gestite da autorità pubbliche regionali o nazionali per sviluppare visioni e politiche. Maggiore è il “respiro” del percorso, più ampio il taglio dell’innovazione, più importante sarà dotare il percorso di piattaforme che favoriscano la cooperazione tra gli attori e che li dotino della capacità di azione necessaria per affiancare e completare l’azione pubblica.
 
D’altro canto a limitare l’efficacia di questo tipo di dispositivi contribuiscono fattori retorici e materiali. Dal punto di vista degli eletti la realizzazione di un living o future lab può apparire come la soluzione per procurarsi un supplemento di legittimazione, in particolare da parte del tessuto associativo, mantenendo allo stesso tempo una presa forte sui processi decisionali e riducendo quindi l’esperienza a una consultazione non vincolante. La mancanza di tempo e di competenze opera inoltre una selezione importante tra i potenziali partecipanti: solo i già attivi, spesso più colti e privilegiati, si trovano quindi a esprimersi in questi percorsi di cittadinanza attiva, con evidenti effetti di distorsione e esclusione. Piuttosto che a soluzioni diverse, sarà importante, in questo caso, pensare a dei correttivi, anche a partire da esperienze pregresse. Radicare socialmente un’esperienza di questo tipo, anche tramite la creazione di uno spazio fisico facilmente identificabile si è spesso rivelato altrettanto importante che cercare strumenti per favorire l’espressione delle aspirazioni degli individui, tenendo conto dei linguaggi più consoni ad ognuno. Infine la cessione di una parte del potere che architetti, urbanisti ed eletti esercitano si è rivelata una delle chiavi del successo di queste esperienze di sperimentazione.

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