CUNEO - Priviero, il rocker veneto a cavallo tra Nuto Revelli e Bruce Springsteen

Stasera l’artista sarà di scena al teatro Toselli: “Sarà un concerto vero, un omaggio alla città di Cuneo”

Samuele Mattio 22/12/2022 18:50

Venerdì 23 dicembre il rocker Massimo Priviero chiuderà il suo tour “Essenziale” al teatro Toselli di Cuneo. Jesolano di nascita e milanese d’adozione, esordisce sulla scena musicale italiana nel 1988 con “San Valentino”.
 
Nel ’90 pubblica “Nessuna resa mai”, prodotto da “Little” Steven Van Zandt, chitarrista e coproduttore di Springsteen, con la partecipazione di alcuni membri della PFM.
 
Una carriera ultratrentennale la sua, con all’attivo 15 album e mezzo milione di copie vendute. Più volte i suoi lavori hanno trovato posto nella top 50 delle classifiche ufficiali. Oltre alle già citate collaborazioni ha lavorato con Massimo Bubola, che si è occupato di parte della produzione artistica di “Rock in Italia” (1992) e Lucio “Violino” Fabbri, che ha prodotto “Priviero” (1998). L’ultimo album uscito nell’ottobre 2021 s'intitola “Essenziale”, che dà il nome al tour. Un disco intimista e profondo che segna il ritorno sulle scene a quattro anni dal precedente lavoro “All’Italia” (2017). Impegnato sul fronte sociale, è laureato in Storia contemporanea all’Università di Venezia.
 
Priviero, tra poco sarà di scena a Cuneo.
“Sono contento di chiudere il tour qui invece che a Milano, come faccio di solito. Suonerò in un teatro splendido (il Toselli n.d.r.), che conosco di fama, ma in cui non ho mai suonato".
 
È già stato da queste parti?
"Sì, ho suonato al Parco della Resistenza, inoltre feci uno spettacolo per l’associazione Mai tardi-Amici di Nuto, fu un concerto acustico, molto intimo”.
 
A proposito di Nuto Revelli. Lei ha scritto due canzoni dedicate alla sua figura: "La strada del Davai” e "Pane, Giustizia e Libertà” (poi ripresa anche dalla band dei Gang nell’album “La rossa primavera” n.d.r.).
“Scrissi ‘La strada del Davai’ perché mi colpì la storia di questi contadini che tornavano da un vero e proprio massacro, come fu quello della campagna di Russia, dalla ritirata di Nikolajewka in poi. Inoltre mi ha sempre colpito la forza che ebbero alcuni di loro di risalire la montagna e fare la lotta. Sono stati straordinari, soprattutto, come fecero Nuto e altri, nell’idea di conservare la memoria e raccontare la storia degli ultimi, lo considero fondamentale”.
 
Ha conosciuto Revelli?
“Non l’ho mai incontrato. Ho conosciuto Mario Rigoni Stern, con il quale c’era una frequentazione negli ultimi anni di Asiago. Tra loro, come noto, c’era un legame forte”.
 
Quanto hanno lasciato questi uomini alla Cuneo di oggi?
“Qui c’è la memoria migliore del nostro Paese. La Resistenza italiana è molto legata a queste terre, lo si respira nell’aria. Il ricordo dei partigiani in montagna è ancora molto radicato".
 
La Resistenza oggi si traduce nell’antifascismo.
“L’antifascismo non è destra o sinistra, ma libertà e democrazia. Oggi i tempi sono cambiati: ritengo più fascista respingere i migranti alle frontiere che non il dire agli organizzatori dei rave party che non possono farlo perché il capannone è pericolante o perché non hanno i permessi”.
 
Quanto di questo c’è nella sua discografia?
“Se il rock d’autore si cimenta in questo tipo di storie, può spostarsi dagli stilemi classici del rock italiano, che è molto standardizzato. Il massimo che abbiamo è l’apologia della malinconia nei bar dell’Emilia. Da noi la musica d’autore è stata delegata al cantautorato”.
 
A tal proposito, c’è qualche artista italiano che ammira?
“Sono figlio di Bruce Springsteen, di Neil Young, di Bob Dylan, ma se penso all’Italia nulla è stato più formidabile, in termini di poeticità e spessore artistico, di Fabrizio De Andrè, senza nulla togliere agli altri. Per lui ho un’ammirazione sconfinata”.
 
A proposito di Fabrizio De André, ha collaborato con Massimo Bubola.
“Un eccellente autore, siamo entrambi veneti, anche se un veneziano non va d’accordo con un veronese per principio (sorride n.d.r.).
 
Capitolo Steven Van Zandt.
"Un amico comune ci mise in contatto, mandandogli le traduzioni dei miei testi. Lui, ignaro del fuso orario, mi chiamò di notte e mi disse ‘sarei orgoglioso di venire in Italia a produrre il tuo album’. Da lì diventammo amici. Una persona adorabile e un musicista incredibile. Stare con lui è stata una lezione di musica incredibile. Ogni tanto ci vediamo quando viaggia per i concerti di Springsteen, l’ultima volta è accaduto l’anno scorso”.
 
Lei è stato paragonato al “Boss” del rock.
“Per me è stato imbarazzante. Quando uscì il mio primo disco la casa discografica fece dei manifesti parafrasando una frase di Landau: ‘Ho visto il futuro del rock italiano, il suo nome è Massimo Priviero'. Provai a spiegare che non era una mia scelta, ma mi beccai per anni dello stronzo. Quando lo dissi a Steve Van Zandt si mise le mani nei capelli che non ha”.
 
È dura scrollarsi di dosso un cliché?
"Quando la gente ti etichetta non si sposta, non va oltre. Lo fecero anche con Gianmaria Testa paragonandolo a Paolo Conte, tuttavia lui ebbe fortuna all’estero, arrivò a suonare all’Olympia (storico teatro di Parigi n.d.r.).
 
E Lucio “Violino” Fabbri?
"È stato delizioso lavorare con lui. È un musicista straordinario, conosce la musica come pochissimi in Italia, ma ha una sua visione molto rigida. È perfetto per chi ha una personalità da modellare. Non lavorerei ancora con lui”.
 
Con chi lo farebbe?
“Con Mauro Pagani, grande cesellatore di suoni. Tuttavia sto prendendo un’altra direzione, andando verso concerti chitarra e voce".
 
C'è un artista delle giovani leve che ammira?
"Uno su tutti: Ed Sheeran. Ha delle radici folk molto forti, sa stare sul palco da solo con chitarra e voce e riesce a incantare la gente senza effetti speciali".
 
Cosa dobbiamo aspettarci il 23 dicembre?
"Sarà un concerto vero, un omaggio alla città di Cuneo e alla sua storia”.

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