Arrivano i cinesi. L’Università di Pechino apre una sede a Torino
Sarà il secondo insediamento europeo dopo Oxford e si occuperà anche di automotive e intelligenza artificiale. Il leghista Icardi plaude all’iniziativaÈ arrivata ieri, giovedì 31, un po’ sottotono, la notizia che a Torino nascerà una sede permanente dell’Università di Pechino, una delle più prestigiose università cinesi, erede dell’Università Imperiale della capitale che fu fondata nel 1898 al posto dell’antichissima Guozijian, l’istituzione accademica delle dinastie imperiali.
Quello di Torino sarà il secondo insediamento europeo, dopo Oxford, per l’università conosciuta in cinese come Beida, che conta circa 30mila studenti nella sua sede di Haidian, quartiere a nord ovest di Pechino. Per il campus torinese si sta valutando la realizzazione o in zona Falchera oppure nel Castello del Bramafame, bene confiscato alla mafia nel 2012, all’interno del Parco Basse di Stura. Sarà dedicato a corsi di laurea in arti visive e performative, design e comunicazione digitale, intelligenza artificiale applicata, mobilità sostenibile e automotive.
Plaude all’iniziativa il consigliere regionale cuneese della Lega Luigi Genesio Icardi, memore della stretta collaborazione con le autorità cinesi che aveva avviato da assessore alla Sanità, in tempo di Covid: l’intesa, allora, culminò in un “gemellaggio” con la giunta regionale di Wenzhou. “I contenuti della proposta sono nuovi: università, cultura e innovazione tecnologica. Ma in che modo lo fa Torino? Con lo stile riservato ma concreto dei piemontesi” commenta Icardi, senza lesinare elogi a un capoluogo che “sta investendo per prepararsi a un presente di rinnovamento e a un futuro che la vede protagonista della scena internazionale”. Torino, inoltre, “è una città accogliente e con costi alla portata dei giovani studenti stranieri, talvolta alle prime esperienze all'estero”. La notizia della prossima apertura della sede universitaria cinese, aggiunge l’ex sindaco di Santo Stefano Belbo, “mi rende orgoglioso di contribuire con il mio mandato alla rete dei rapporti istituzionali con questo popolo per integrare le conoscenze e le prassi migliori delle nostre articolazioni amministrative”.
Giusto qualche settimana fa Matteo Salvini è stato protagonista di una visita istituzionale in Cina, analoga a quella che la premier Giorgia Meloni aveva compiuto un anno fa per mandare in archivio la Belt and Road Initiative - su pressione americana - cercando di non fare arrabbiare troppo i cinesi. La partnership sulla “nuova via della Seta”, nel 2019, per ironia della sorte era stata portata avanti da un sottosegretario del governo Conte I nominato in quota Lega, ovvero l’economista Michele Geraci. Il Carroccio ha tenuto da allora una linea ondivaga, oscillando tra clamorose azioni davanti all’ambasciata a Roma (nel luglio 2020, con il cartello “We stand with Hong Kong” retto dal segretario) e saltuari riavvicinamenti.
Ora, probabilmente, le bizze dell’“amico americano” e lo stato comatoso dell’automotive inducono a più miti consigli, sotto la Mole e non solo. Anche nella Lega c’è chi è pronto a cogliere l’opportunità per il territorio.

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