Ora il garante dei detenuti potrebbe “ritirarsi” dal processo contro gli agenti penitenziari a Cuneo
FdI attacca l’uscente Bruno Mellano, accusato di “strabismo ideologico”. Le opposizioni insorgono, durissima la Camera Penale: “Non sanno nulla di diritto”Dopo undici anni da garante regionale dei detenuti il fossanese Bruno Mellano lascia per raggiunto limite di mandato. Ex consigliere regionale con la lista Bonino Pannella, poi deputato dell’Unione, lo storico dirigente radicale era stato nominato nel 2014 dal centrosinistra ma poi confermato, coram populo, dal centrodestra, malgrado l’estemporaneo tentativo leghista di sostituirlo con un investigatore privato gradito al Carroccio.
Mellano ha raccolto apprezzamenti trasversali, tra le associazioni come presso i sindacati di polizia, eppure c’è chi approfitta dell’avvicendamento già programmato con Monica Formaiano - avvocato, alessandrina, ex assessore comunale e candidata alle regionali con Fratelli d’Italia - per togliersi più di un sassolino dalla scarpa: “Undici anni di monologo a senso unico, oggi si chiude senza rimpianti una fase di strabismo ideologico che non ha per nulla contribuito a pacificare il mondo penitenziario ma, anzi, lo ha polarizzato a dismisura”. Questo il giudizio senza appello formulato da Carlo Riva Vercellotti e Roberto Ravello, capogruppo e vice capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale, sull’operato del garante.
Al quale i meloniani imputano di aver interpretato l’incarico “in modo univoco, con scarsa attenzione per le altre figure che vivono e lavorano ogni giorno dentro le carceri: la Polizia Penitenziaria, gli operatori, il personale sanitario, i volontari”. Soprattutto gli si rimprovera la costituzione di parte civile “solo nei procedimenti contro agenti della Polizia Penitenziaria, mai in quelli per aggressioni e violenze compiute da detenuti contro gli agenti stessi. Un doppio standard inaccettabile, figlio di una visione parziale e fortemente sbilanciata della realtà carceraria”.
A Mellano, in sostanza, non si perdona lo “sgarbo” fatto a Torino e a Ivrea e ripetuto, poco più di un mese fa, a Biella e a Cuneo. In tutti questi casi il garante ha esercitato la possibilità, prevista dalla legge, di costituirsi in giudizio contro agenti accusati di violenze e torture.
L’intervento dei consiglieri di Fratelli d’Italia ha provocato l’insurrezione di tutte le opposizioni. Dai Cinque Stelle (“ingiustificabile, scorretto e totalmente fuori da ogni logica l’attacco dei consiglieri regionali di Fratelli d’Italia”) ad Avs (“fare il garante dei detenuti vuol dire tutelare i diritti delle persone detenute, non della polizia penitenziaria né di altre figure del complesso universo carcerario”), dal Pd con Domenico Rossi e Gianna Pentenero (“sconcertante come Fratelli d’Italia che dovrebbe conoscere il sistema carcere attraverso un suo esponente come il sottosegretario Andrea Delmastro dimostri tutta la sua ignoranza in materia”) fino ai Radicali, con il segretario nazionale Filippo Blengino: “Gli attacchi provenienti da destra sono l’espressione di una visione distorta della giustizia, che cerca risposte ai problemi attraverso decreti securitari e strumenti di populismo penale”.
Tutti concordi nel difendere l’operato di Mellano, ma ancor più nel rivendicare l’autonomia del garante. Alla quale si appella, con ironia e con ancora più fermezza nel condannare gli attacchi, il consiglio direttivo della Camera Penale piemontese: “La critica alla persona del Garante, ormai scaduto per raggiunto limite dei mandati, si sofferma sul fatto che la scelta di quest’ultimo sarebbe stata quella - udite udite - di provare a difendere i diritti dei detenuti”. “Il sottile ragionamento giuridico proposto, - ironizzano gli avvocati penalisti - che forse potrà aprire nuove frontiere del diritto, ci porta a chiedere scusa a Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Franco Cordero e a tutti i giuristi che hanno fatto del Piemonte una terra di diritto, per avere consentito che il Consiglio Regionale fosse occupato da chi del diritto nulla sa e non ha neppure la creanza di tacere”.
Insomma, lo scivolone c’è ed è ancora più clamoroso di quello rimproverato alla stessa Formaiano, presentatasi con la frase “non ho dimestichezza con le realtà carcerarie piemontesi”. A lei ora toccherà decidere anche se confermare o eventualmente ritirare l’iniziativa nel processo sulle presunte torture. Sarebbe una scelta poco rilevante sul piano giudiziario, ma dirimente sotto il profilo politico.

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