Il primo maggio dei sindacati all’ex Molino Cordero. Anche nella “Baviera d’Italia” si muore di lavoro
Gli ispettori nella Granda sono solo 14, ne servirebbero il triplo. Cgil, Cisl e Uil tornano a chiedere sicurezza dove cinque lavoratori morirono in un’esplosioneIl Molino Cordero di Fossano oggi non esiste più, al suo posto c’è un Penny Market con il relativo parcheggio. Destino comune a molte fabbriche che hanno lasciato il posto ai supermercati, in un Paese dove, per qualche paradosso, sembra si venda sempre di più mentre si produce sempre di meno. Solo che a Fossano non è stato un fallimento o una delocalizzazione a segnare il destino di un impianto di macinazione dei cereali attivo fin dal 1950. È stato un boato che ha squassato l’intera città in un sonnolento pomeriggio estivo del 2007, il 16 luglio.
Nell’esplosione di uno dei silos, seguito dallo scoppio di un’autocisterna incendiata, perderanno la vita cinque uomini. Muore sul colpo Mario Ricca, autista della ditta, 45 anni e due figli, investito in pieno dalla deflagrazione: il corpo sarà rinvenuto solo al termine delle operazioni di spegnimento. Altri quattro lavoratori riportano ustioni terribili, moriranno dopo giorni di agonia tra il 27 luglio e il 2 agosto. Sono Massimiliano Manuello, 42 anni e cinque figli, Marino Barale, 38 anni e due figli, Valerio Anchino di 44 anni, tutti dipendenti del Molino. L’altra vittima, Antonio Cavicchioli, 50 anni, padre di due figli, era un tecnico di manutenzione esterna appena arrivato per eseguire un lavoro.
La cerimonia del primo maggio, voluta dai sindacati confederali sul luogo della strage, non è come le altre. Si apre nel ricordo delle cinque vittime e di Sara Sevega, infermiera e sindacalista della Fp Cgil venuta a mancare nella giornata di mercoledì, con la preghiera e la benedizione collettiva di don Sergio Daniele: nei vangeli, ricorda il parroco di san Bernardo, la famiglia di Gesù ci viene presentata come una famiglia di lavoratori e “questo ci dice come il lavoro entra nei disegni e nei progetti di Dio”. Anche il sindaco Dario Tallone, nel suo saluto, rivolge un pensiero a cinque famiglie che “non videro più rientrare a casa i propri cari dopo il lavoro”. Poi si parla dell’attualità: “Il costo della ripresa non può essere pagato in termini di infortuni sul lavoro, così come nei momenti di difficoltà occorre che le aziende rifuggano dalla tentazione di ridurre le spese per la sicurezza”.
In agricoltura il 70% delle vittime in provincia. Anziani e stranieri i più a rischio
“Mai più”, si era detto dopo il Molino Cordero, una delle stragi più gravi nel passato recente della Granda (anche se non la peggiore in assoluto). Lo si dice ogni volta, ma nessuno ci crede. Di lavoro si continua a morire anche nella “Baviera d’Italia”. I numeri li ricordano i tre responsabili della sicurezza che i sindacati chiamano sul palco prima del discorso dei segretari generali: nell’ultimo anno, quindici dei 1.090 infortuni mortali sul lavoro sono avvenuti in provincia di Cuneo. In aumento rispetto al 2023, anche se in diminuzione rispetto al quadriennio 2019-2022. “Sono in aumento gli infortuni tra i lavoratori stranieri che nella nostra provincia sono il 30% di quelli totali, tra gli under 30 e nella classe tra 60 e 64 anni” ricorda Paolo Burlo, rspp della Cgil. A livello di settore un lieve calo si registra nell’agricoltura, dove però a fronte dell’11% di infortuni complessivi si verificano ben il 73% delle morti.
“È vero - concede il sindacalista - che i morti dello scorso anno sono stati solo un quarto di quelli del 1963, quando è stato raggiunto il picco massimo di 4.644 vite interrotte, ma il calo più significativo, circa del 70%, è concentrato tra gli anni Sessanta e Novanta, mentre nei decenni a seguire è stato solo dell’1% annuo”. A partire dal 2000 a oggi, una media di 1200 lavoratori l’anno sono morti: “Come fosse scomparsa una cittadina delle dimensioni di Bra, segno che il sistema della prevenzione non sta più funzionando”.
“Abbiamo 14 ispettori in provincia, dovremmo averne almeno cinquanta” dice Paolo Giordanengo, rls e formatore della Uil all’Alstom di Savigliano: “Mancano controlli dalle autorità competenti anche dopo infortuni di 40 o 60 giorni, se gli infortuni non superano i 40 giorni in un blocco solo lo Spresal non può fare i sopralluoghi”. Gerry Castelli, rappresentante per la sicurezza della Cisl, pone il tema della sorveglianza sanitaria: “Oggi abbiamo pochissimi rapporti col medico, serve discutere i potenziali pericoli per la salute a lungo termine”. Questione di controlli e di prevenzione, dunque, ma non solo quello. Il tema si allarga ai contratti, perché la precarietà genera insicurezza dentro le fabbriche e fuori, tra chi gestisce appalti e subappalti. A parlarne è ancora Giordanengo: “Arrivo da un’azienda che ha preso il premio europeo per mille giorni senza infortuni: il premio si è volatilizzato nel momento in cui sono entrati 300 interinali. Nell’appalto l’unica cosa che si vende è la manodopera, allora il taglio dei costi si fa su quello che si può: la busta paga, le protezioni, le calzature”.
La Cgil “lancia” il referendum anti Jobs Act e dice no alla riconversione bellica
Le riflessioni finali toccano ai leader provinciali. “Ci spiegano che solo abbassando la testa possiamo uscire dalla crisi di questo Paese: non è vero” afferma Armando Dagna della Uil, toccando poi il tema dell’evasione: “È possibile - si domanda - che in questo Paese i soli a essere affidabili dal punto di vista fiscale siano i lavoratori?”. Una domanda la ripete anche Enrico Solavagione, appena rieletto al vertice della Cisl: “Che razza di Paese è mai quello in cui continuano a morire ogni giorno tre persone?”. Lungo l’elenco delle misure proposte, tra cui la riduzione dell’età pensionabile e l’introduzione della “salute e sicurezza sul lavoro” come materia scolastica. Occorre anche, dice, “ostacolare la moltiplicazione di organizzazioni sindacali spregiudicate e non rappresentative, fautori della contrattazione pirata tese a fare della sicurezza un mero fattore di guadagno”.
“Dopo vent’anni di scomposizione del mondo del lavoro non abbiamo avuto quegli aumenti di produttività che tanto venivano invocati” conclude il segretario generale della Cgil Piertomaso Bergesio, menzionando i referendum contro il Jobs Act che il suo sindacato ha promosso e su cui si voterà l’8 e 9 giugno. No alla precarietà e no anche alla guerra: “È partito in maniera strisciante un processo di riconversione delle aziende meccaniche, si vedono già le avvisaglie in Germania e in Francia. Succederà anche in Italia? Temiamo di sì”. Bergesio menziona in chiusura uno studio di un’università italiana, secondo cui un investimento di un miliardo genera solo 3mila posti in media nel settore bellico, mentre può assicurarne 12mila in sanità e 14mila nell’istruzione: “La pace non solo è giusta, ma anche economica”.
Andrea Cascioli

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