Sindacati a Fossano a 18 anni dalla tragedia del Molino Cordero: "Da allora la situazione non è migliorata"
La manifestazione unitaria indetta il 1° maggio da Cgil, Cisl e Uil per ricordare le vittime, ma anche per tenere alta l'attenzione sul tema: "Tre morti al giorno non sono più tollerabili"Nella mattinata di martedì 29 aprile si è svolta, presso la sede della Cisl di Cuneo, la conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa promossa in occasione del 1° maggio, Festa dei Lavoratori. Al centro dell’appuntamento il ricordo della tragedia del Molino Cordero, che sarà commemorata con una cerimonia a Fossano, presso il monumento dedicato alle vittime. Ad organizzare, insieme alla citata Cisl, anche Cgil e Uil.
La scelta del luogo non è casuale: a luglio del 2007 un’esplosione avvenuta durante lo svuotamento di un’autocisterna all’interno dell’azienda provocò un violento incendio. A distanza di pochi minuti, le fiamme coinvolsero anche un silos, causando una seconda deflagrazione. Il bilancio fu drammatico: cinque le vittime, ma il numero avrebbe potuto essere ancora più alto.
“Da allora la situazione non è migliorata. Al di là dello scandalo iniziale, gli infortuni e le morti sul lavoro sono aumentati”, ha dichiarato Enrico Solavagione, segretario della Cisl di Cuneo. “Se confrontiamo i dati del 2023 con quelli del 2024, il trend è in crescita. Il settore più a rischio è quello dell’industria, con 5.110 infortuni dichiarati, seguito dall’agricoltura con 848 casi e da 1.697 infortuni in settori misti”. Il segretario sottolinea come la manifestazione del 1° maggio non sarà soltanto un momento di denuncia: “In quella piazza, che speriamo sia molto partecipata, non ci limiteremo a evidenziare una situazione tanto grave quanto cronica, ma avanzeremo anche delle proposte. I tre morti al giorno che si registrano mediamente in Italia non sono più tollerabili. Riteniamo necessario, da un lato, intensificare i controlli — anche se il personale ispettivo è clamorosamente insufficiente — e, dall’altro, inasprire le pene per chi viola le norme sulla sicurezza. Allo stesso tempo, pensiamo che il sistema debba premiare le aziende più virtuose. Ogni anno, l’INAIL registra un cospicuo avanzo economico, che solitamente viene utilizzato per alleggerire il debito pubblico. Quei fondi potrebbero invece essere reinvestiti nella formazione del personale, contribuendo così a costruire una cultura più solida della prevenzione. Bisogna partire dalle scuole, è importante sensibilizzare. Pesano anche i contratti pirati, firmati da organizzazioni poco rappresentative, sui quali di sicurezza si parla poco e di mero guadagno. Una lotta su questo va fatto. Noi vogliamo provare a lanciare un messaggio, che non ci sono divisioni di sorta e che si mettano in campo gli strumenti”.
Dati importanti, quelli presentati, che delineano un quadro preoccupante e impongono una riflessione profonda, anche alla luce della natura ormai cronica del problema. A sottolinearlo con chiarezza Armando Dagna, segretario della Uil di Cuneo. “Non è bastata l’introduzione della nuova legge sulla sicurezza nel 1994 per scalfire davvero il problema. È una questione strutturale, con molteplici cause, tra cui la difficoltà concreta nel tradurre le norme in azioni efficaci. C’è anche il tema della struttura produttiva del nostro Paese: abbiamo poche grandi aziende e un lavoro molto frammentato. Anche in provincia di Cuneo c’è tanto lavoro sommerso, precariato poco riconosciuto e spesso ignorato”. Dagna prosegue con un richiamo al valore della prevenzione: “La sicurezza continua a essere vista come un costo, quando invece dovrebbe essere considerata un’opportunità. Gli infortuni e le malattie professionali – sì, perché ci si ammala di lavoro – costano ogni anno 40 miliardi di euro. È più di una manovra finanziaria. Ma al di là del danno economico, c’è il costo umano, quello che pesa sulle spalle dei lavoratori. Solo chi ha subito un infortunio o una menomazione può capire cosa significa avere la vita sconvolta. E questo non ha prezzo”. Infine, una critica alla rassegnazione diffusa: “C’è una sorta di fatalismo nel modo in cui si affronta questo tema. Si dice che gli infortuni ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ma non è vero. Il rapporto tra infortuni in Italia e in Germania è di tre a uno: abbiamo tre volte i morti sul lavoro e tre volte gli incidenti. È falso che non si possa intervenire. Ridurre il fenomeno significa anche migliorare la qualità del lavoro. Troppo spesso questi incidenti derivano da una cattiva organizzazione. È ora di iniziare a investire davvero nei lavoratori, negli imprenditori e negli organismi preposti alla sicurezza”.
Proprio relativamente alla strutturazione è intervenuto Piertomaso Bergesio, segretario della Cgil di Cuneo, che ha analizzato la questione anche da un punto di vista culturale. “In Italia, per come siamo strutturati, è complicato attuare efficaci controlli e politiche di prevenzione. Il tema delle denunce è sottodimensionato rispetto al reale numero di infortuni. Si denuncia solo dove ci sono le condizioni per farlo, quando si è sicuri di non subire conseguenze. Così facendo, le persone, anche per ignoranza, finiscono per dimenticare i propri diritti, che sono sanciti dall’assicurazione INAIL. Quest’ultima non copre solo l’infortunio, ma anche tutto il decorso successivo”. Bergesio mette in discussione le basi del sistema produttivo: “Parliamo tanto di sicurezza e degli interventi che possiamo mettere in campo, ma dobbiamo partire da un dato di fatto. Se in una provincia così ricca si registra un livello così alto di infortuni, significa che c’è un problema nel modello di sviluppo. Un modello che non distribuisce ricchezza, perché produce lavoro povero, sottovaluta il rischio legato al lavoro e si basa ancora su una mentalità novecentesca – se non ottocentesca – secondo cui la produzione cresce solo aumentando a dismisura i ritmi, senza curarsi delle conseguenze”.
Infine, un passaggio su quanto accade sotto gli occhi di tutti: “Basta anche solo girare per Cuneo e osservare i cantieri: quante volte vediamo lavoratori privi dell’attrezzatura antinfortunistica? Purtroppo, e questo è un problema culturale, la sicurezza non è percepita come un valore. Lo diventa solo quando si trasforma in un costo per la collettività. Così si finisce per permettere a qualcuno di fare profitti sulla pelle delle persone, mentre altri si accollano il prezzo sociale di quella ricchezza. Bisogna ripensare il modello di sviluppo”.
Piero Coletta

cuneo - Fossano - Cgil - Cisl - Uil