Incendio sul Mombracco, un residente: "L’incuria dei terreni abbandonati una delle cause"
L'intervento dopo il rogo dei giorni scorsi: "Serve far rispettare gli obblighi di manutenzione, senza tollerare che il disinteresse di pochi metta in pericolo tutti"Riceviamo e pubblichiamo la lettera firmata da un residente nella zona colpita dall'incendio boschivo del Mombracco.
L’incendio che ha devastato il Montebracco lo scorso 18 agosto ha colpito profondamente la nostra comunità. In poche ore le fiamme si sono propagate in maniera sorprendentemente rapida, nonostante l’assenza di vento e la presenza di un imponente schieramento di forze a terra. Non possiamo far finta di non chiederci il perché. Una delle cause è sotto gli occhi di tutti: l’incuria diffusa dei terreni boschivi e agricoli abbandonati. Sterpaglie, rovi e legna secca accumulati negli anni diventano un combustibile perfetto, in grado di alimentare il fuoco e renderlo incontrollabile.
Non si tratta soltanto di una questione di decoro o di scelta privata. In Italia e in Piemonte la legge è chiara: la Legge quadro sugli incendi boschivi (L. 353/2000), all’articolo 3, e le norme regionali piemontesi – in particolare la L.R. 22/2016 e i regolamenti comunali di polizia rurale – impongono ai proprietari l’obbligo di mantenere i terreni puliti, con rimozione di sterpaglie e materiale secco, soprattutto nelle aree prossime ad abitazioni o infrastrutture. In caso di inadempienza, il Comune può intervenire d’ufficio e addebitare le spese, e nei casi più gravi si può arrivare a responsabilità civili e penali, fino a quanto previsto dall’articolo 423-bis del Codice Penale per gli incendi boschivi. Ma la responsabilità non è solo dei singoli: anche le istituzioni hanno il dovere di supportare i proprietari, garantendo la manutenzione e l’accessibilità di strade, piste e vie tagliafuoco fondamentali in caso di emergenza, così da permettere a uomini e mezzi di intervenire tempestivamente.
Eppure, qui da noi resiste un vecchio detto: “Non mangia e non beve”, come a dire che una proprietà boschiva, lasciata lì, non comporta problemi. È un modo di pensare che oggi non possiamo più permetterci. Un terreno in abbandono non è inoffensivo: è una miccia sempre pronta, che può distruggere la stessa proprietà, danneggiare quelle altrui, mettere a rischio vite umane e cancellare in poche ore patrimoni naturali che hanno impiegato secoli a formarsi. E oltre al pericolo di incendi boschivi, l’incuria comporta anche gravi problemi di regimazione delle acque, aumentando il rischio di frane, smottamenti e allagamenti. Dopo un rogo come questo, le colline spogliate perdono la loro capacità di trattenere il terreno, e le prime piogge possono trasformarsi in colate di fango.
Chi era presente non dimenticherà facilmente lo scenario: colonne di fumo visibili a chilometri di distanza, lingue di fuoco che divoravano pendii e zone boscate, il crepitio sinistro della vegetazione che cedeva alle fiamme, il fruscio disperato degli animali in fuga. Un patrimonio naturale e faunistico ridotto in cenere, lasciando al suo posto un tappeto nero e silenzioso.
Abbiamo il dovere di riconoscere il lavoro straordinario di chi ha combattuto le fiamme: Vigili del Fuoco, squadre AIB, Protezione Civile, forze dell’ordine e volontari hanno agito con coraggio e dedizione, riuscendo a evitare il peggio. Ma è impossibile ignorare le criticità emerse: il numero unico di emergenza 112 si è dimostrato lento e macchinoso, e la macchina organizzativa, troppo spesso ingessata da passaggi burocratici, ha faticato a rispondere con la rapidità che un’emergenza richiede. In situazioni come questa, il buon senso e il senso di urgenza dovrebbero avere la precedenza su qualsiasi formalità. E probabilmente, se non fosse stata per la forte pioggia caduta il 19 e il 20 agosto, la misura del disastro ambientale avrebbe assunto dimensioni ancora più ampie e drammatiche.
Se vogliamo evitare di rivivere simili tragedie, dobbiamo agire su due fronti: da un lato, far rispettare con rigore gli obblighi di manutenzione, senza tollerare che il disinteresse di pochi metta in pericolo tutti; dall’altro, snellire le procedure di emergenza, mettendo al centro la rapidità di intervento e il coordinamento operativo. Il Montebracco non è solo un monte: è parte della nostra identità, un simbolo della valle e un patrimonio che abbiamo il dovere di proteggere. La prossima volta, non possiamo contare solo sulla fortuna e sul sacrificio di chi interviene: la prevenzione deve iniziare molto prima che si accenda la prima scintilla.
Lettera firmata

Mombracco