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    BOVES - Sunday 26 October 2025, 13:01

    Caso Nada Cella, l’affondo finale: “Solo Soracco e Cecere sulla scena del delitto”

    Dalle confidenze della vicina al bottone sul cadavere, nelle parole del pm tutti gli elementi che accusano l’ex maestra: ma perché il commercialista scelse di tacere?
    Caso Nada Cella, l’affondo finale: “Solo Soracco e Cecere sulla scena del delitto”
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    Non sono bastate tre ore e mezza di requisitoria per elencare tutti gli elementi che la Procura di Genova ritiene di aver raccolto in quattro anni di indagini contro Annalucia Cecere, l’ex maestra, oggi 57enne, accusata dell’omicidio di Nada Cella.

    In aula si riannodano i fili di una storia di sangue iniziata la mattina del 6 maggio 1996, quando la segretaria ventiquattrenne fu trovata agonizzante nello studio del commercialista Marco Soracco a Chiavari, dove lavorava da anni. Da quasi trent’anni si aspetta una verità su un autentico delitto della stanza chiusa. Soracco, lo scopritore del crimine, restò per lungo tempo il solo indagato, ma nessun indizio portava a lui. Nel 2021 è stata una criminologa, Antonella Delfino Pesce, a scoprire una nuova pista che portava in direzione di Cuneo, dove pochi mesi dopo si trasferì l’attuale imputata: Cecere conosceva Soracco e anche Nada, per l’accusa avrebbe agito mossa da un folle sentimento di gelosia e di frustrazione.

    La requisitoria del processo Nada Cella

    Il bottone ritrovato e il pasticcio delle indagini

    Il sostituto procuratore Gabriella Dotto sa di avere di fronte “un processo indiziario”, senza nessun riscontro inoppugnabile circa la presenza dell’accusata sulla scena del crimine. Il Dna cercato sul motorino della Cecere, ancora in suo possesso, non è stato trovato. L’arma del delitto nemmeno: si pensa a un pesante fermacarte, con cui la giovane fu colpita fino a sfondarle il cranio. Nell’ufficio di Nada non ci sono tracce biologiche che portino all’allora 28enne addetta alle pulizie, con un lavoro presso un dentista a Santa Margherita Ligure e un alloggio a centoventi metri dal palazzo di via Marsala 14.

    Eppure, per il pm c’è una certezza: “In quel luogo solo due persone possono essere state: Soracco e la Cecere, nessun’altro”. La prova che inchioda la donna sarebbe un bottone metallico, ritrovato sotto la testa di Nada. All’epoca si cercò di capire da dove fosse arrivato, cercandone di uguali, senza trovarne, nei negozi: “Solo presso la persona indiziata si trovano bottoni identici: i carabinieri che fanno la perquisizione cercano informazioni proprio sul bottone, muniti di una fotografia. Quelli sequestrati erano gli stessi, ma a quello trovato sulla scena del crimine mancava la parte in plastica”. Cecere disse allora che si trattava di bottoni con cui aveva rammendato una giacca maschile, di proprietà di un suo ex fidanzato: “È logico pensare che lo abbia messo su un suo capo e lo abbia perso durante la colluttazione” ribatte il pm.

    La perquisizione è l’unico momento in cui Cecere entra nelle indagini sull’omicidio, uscendone subito dopo. Colpa di una gestione caotica da parte dell’allora Procura di Chiavari e della sovrapposizione di piste: la polizia indagava su presunti traffici sporchi nell’ufficio di Soracco, i carabinieri sulla Cecere. Il giorno stesso in cui i militari portarono al procuratore Filippo Gebbia i bottoni, si presentò agli inquirenti un commercialista, Paolo Bertuccio, raccontando di confidenze su uno scandalo imminente che il collega Soracco gli avrebbe fatto poco tempo prima. Soracco ha sempre negato e la pista non ha portato a nulla. Ma Gebbia disse ai carabinieri di lasciar perdere e si concentrò sulle “stravaganti informazioni” di Bertuccio.

    La requisitoria del processo Nada Cella

    “Soracco sapeva che non era un incidente”

    Il rapporto tra Soracco e la Cecere è il vero cuore di tenebra di questa vicenda. Entrambi hanno sempre negato di aver avuto una relazione, ammettendo solo una conoscenza occasionale legata alla comune frequentazione di locali. L’accusa non gli crede ed è il motivo per cui il commercialista oggi è alla sbarra per favoreggiamento. Soracco, si sostiene, avrebbe addirittura visto Cecere uscire dallo studio e mentito ai soccorritori, parlando di una caduta. Che fosse invece consapevole dell’aggressione lo proverebbe un’ammissione con una cliente e anche con la criminologa, alla quale disse di essere entrato prima che si formasse la macchia di sangue: “I medici legali ci dicono che la macchia di sangue ha impiegato almeno da tre a cinque minuti per formarsi, l’immagine che Soracco riferisce alla Delfino Pesce sposta il suo ingresso in un momento più vicino all’aggressione”. La contraddizione insuperabile, aggiunge, è che abbiano parlato di un malore ma che nessuno si sia nemmeno avvicinato per non toccare nulla e alterare quella che si capiva essere la scena di un crimine. È lo stesso Soracco che parlerà di Cecere alla Delfino Pesce, definendola “matta lucida”: “Altro che sconosciuti” sottolinea il magistrato.

    Le conversazioni registrate, tante, entrano in gioco in un’indagine che fin dagli inizi si è giocata sul filo del telefono. Soracco che parla con il suo avvocato di Cecere (“la conosco da un anno e mezzo” dice, e anche “Nada l’ha accompagnata da me” in riferimento a una visita in studio prima negata), Marisa Bacchioni, la madre del commercialista, che racconta “non solo di conoscere alla ragazza ma addirittura che era molesta, tanto che avevano dato ordine a Nada di non passare le telefonate e fare da filtro”: “È un’informazione importantissima in questo processo che è stata negata”. Poi ci sono le telefonate che Soracco riceveva: da un’amica di lui, la sera stessa del delitto, in riferimento alla Cecere che si sarebbe proposta di “sostituire” la segretaria uccisa in studio, ma anche dalla stessa “Anna” che chiama per dire “non sono mai stata innamorata di te, anzi mi fai schifo”.

    Sono gli stessi giorni in cui la Bacchioni parla con la misteriosa “signorina”, la donna che racconta di aver visto Annalucia sotto l’ufficio la mattina dell’omicidio: “L’anonima che telefona alla Bacchioni dice ‘ma perché la polizia non la va a prendere?’ e lei non si scompone, ma risponde ‘pensi che ha avuto addirittura l’ardire di chiamare un’amica di mio figlio’”. Convocata alla riapertura delle indagini, nel 2021, la professoressa in pensione si lascia sfuggire una confidenza con il figlio: “Ma guarda un po’ quell’Annalucia lì che fastidio ci ha dato”. Perché parlarne venticinque anni dopo, prima ancora di sapere che gli inquirenti l’avevano messa nel mirino?

    Sulle ragioni dell’ostinato silenzio del figlio e della madre l’accusa non ha mai trovato risposte certe. Anche qui, ci sono solo ipotesi possibili: Dotto parla di pressioni ricevute da qualcuno, forse in ambienti ecclesiastici. La lettura delle intercettazioni, afferma, “restituisce l’idea che entrambi, madre e figlio, si siano costruiti da subito una realtà alternativa e l’abbiano portata avanti per conservare un minimo di credibilità anche sociale: tanti anni di intimità assicuravano a loro che quella fosse la strada giusta”.

    La requisitoria del processo Nada Cella

    Il condominio dei segreti: molti non parlarono

    Il commercialista e sua madre non sono però gli unici ad aver taciuto, in quel condominio di persone rispettabili dove tutti vedevano tutto o quasi. Egle Sanguineti, la vicina di casa, fu intercettata mentre parlava con la figlia Luciana riguardo al fatto che Soracco fosse sceso in studio da casa sua - al piano di sopra - prima delle nove, non dopo, come da lui affermato. Luciana Signorini era disabile mentale ed era stata anche inquisita per un breve periodo. Mesi dopo, la Sanguineti viene intercettata mentre parla in tono aspro di una donna: “Si dice ‘è matta’, ‘è una che vuole perseguitare’ e anche che ‘doveva essere sporca di sangue eppure non lo era’: la Sanguineti parla di una persona che ha visto e che conosceva. La Cecere sporca di sangue non lo era perché si era sommariamente lavata, le era rimasta sporca una mano”.

    Anche un’altra defunta vicina, Liliana Lavagno, considerata la “portinaia” del palazzo, fece ai Soracco rivelazioni di cui non aveva messo al corrente degli investigatori: “Le sorelle Bacchioni annotano, ciascuna per proprio conto, che la Lavagno disse loro di aver sentito una persona scappare e di non essersi affacciata, perché ‘se quello mentre saliva in motorino avesse guardato in su, avrebbe detto: quella mi ha visto’”.

    Il motorino è un altro elemento chiave. Cecere ne possedeva uno, ne parla l’anonima “signorina” delle telefonate (“l’ho vista che era sporca. Ha infilato tutto nel motorino, io l’ho salutata e non mi ha guardata”) ma non i due mendicanti, Rosario Taggio e la madre Giuseppina Radatti, che avvistarono una ragazza con un’aria sconvolta e una mano sporca di sangue, a piedi, poche decine di metri più in là. La spiegazione, per la Procura, è che la Cecere salì sul motorino ma poi, agitatissima e incapace di guidare, si fermò e proseguì a piedi verso la vicina piazza Cavour. La Radatti, ormai defunta, aveva riconosciuto Cecere e aiutato a disegnare un photofit da cui traspare evidente la somiglianza con l’imputata. Taggio, sentito in aula, ha invece pasticciato sugli orari indicando un momento precedente all’omicidio: un dato, quest’ultimo, che indebolisce le certezze della Procura e offre semmai nuovi possibili argomenti alla difesa.

    Andrea Cascioli
    luogo BOVES
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    Tag:
    omicidio - Cronaca - processo - chiavari - Annalucia Cecere - Nada Cella - Marco Soracco
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