No caro Renzi, per il processo a sua madre nessuno deve vergognarsi
L’ex premier torna all’attacco dopo la vicenda giudiziaria cuneese. Ma non ogni assoluzione è un fallimento e il processo Direkta non è la storia di una persecuzioneDiciamolo una volta sola per tutte a Matteo Renzi, anche se in realtà sarebbero molti a doversi sentire chiamati in causa: essere assolti non significa per forza essere stati vittime di una persecuzione, di una macchinazione oscura, di un ordito degno di Kafka o del Koestler di Buio a mezzogiorno.
Lo diciamo ora perché il senatore di Rignano ha incassato con comprensibile gioia il verdetto di appello nei confronti di sua madre, imputata prima a Cuneo e poi a Torino per concorso in bancarotta. In due successive sentenze i giudici hanno assolto con formula ampia la signora Laura Bovoli. Due tribunali hanno vagliato i documenti e le testimonianze e hanno dato un responso che tutti devono rispettare, argomentato in centinaia di pagine di atti e di motivazioni: è a questo che serve un processo penale.
Renzi ha tutto il diritto di gioire, non di gridare allo scandalo: “Mi domando come sarebbe stata anche la nostra vicenda politica senza la campagna mediatica sui tanti processi subiti” ha scritto in un post pubblicato a caldo su Facebook, dopo la conclusione della vicenda giudiziaria cuneese. Domanda legittima ma poco sorretta dai fatti. Il caso Direkta, per esempio, esplode nel maggio 2018, quando la parabola del renzismo era già in fase calante e il “suo” Pd reduce dal tonfo delle politiche.
“Come si vede da questa ennesima assoluzione quelli che devono vergognarsi non siamo noi” aggiunge Renzi. Il punto però è che non si capisce chi altri dovrebbe farlo. Chi scrive ha seguito l’intera istruttoria a Cuneo, per otto successive udienze, dal settembre 2019 al luglio 2021, data della sentenza di primo grado. Un processo complesso, decine di ore di testimonianze difficili da compendiare in poche righe. In sostanza si parla di una catena di appalti per la distribuzione di brochures pubblicitarie dei supermercati, che dai committenti della grande distribuzione - Ipercoop Liguria e altri - passava alla Eventi 6 della famiglia Renzi, poi alla Direkta sul territorio cuneese e alessandrino e infine alle cooperative che materialmente si occupavano delle consegne porta a porta dei volantini. La Direkta di Mirko Provenzano, con sede sociale a Sant’Albano Stura, diventa a un certo punto l’anello debole di questa catena, accumulando crediti inesigibili e di conseguenza mancati pagamenti nei confronti delle cooperative.
Con quelle del gruppo GSI di Giorgio Fossati, in particolare, l’ammontare dei debiti è tale da indurre Provenzano, nella primavera del 2013, a rivolgersi ai committenti perché emettano note di credito predatate di qualche giorno, dove si imponga alle cooperative di pagare penali per vari disservizi nelle consegne. I committenti principali sono la Gest Espaces di Carmagnola e appunto la Eventi 6 di Rignano sull’Arno, amministrata all’epoca da Laura Bovoli. La tesi della Procura era che questo “aiutino” alla Direkta da parte delle due aziende committenti avesse falsato i conti della società cuneese, alterandone i bilanci fino al crac. La tesi delle difese è invece che le note di credito non avessero nessun valore contabile e che in ogni caso i disservizi nelle consegne fossero stati documentati. I giudici hanno creduto a questa seconda prospettazione e quindi assolto la Bovoli: questo era il tema del processo e qui finisce la questione giudiziaria.
Il fatto che la tesi accusatoria sia stata soccombente nei due gradi di giudizio, però, non significa che a priori non meritasse alcun vaglio da parte della magistratura. Ciascun processo è diverso da tutti gli altri, ciascun verdetto fa storia a sé: vale in particolare per le assoluzioni, tant’è che la legge prevede varie formule per assolvere e una sola per condannare. Nessuno, nel dibattimento, ha portato argomenti sufficienti a giustificare la condanna di Laura Bovoli. Ma nessuno ha spiegato nemmeno perché Provenzano e la Eventi 6 si scambiassero favori che nulla avevano a che fare con l’attività imprenditoriale della Direkta: secondo il curatore fallimentare della società, Alberto Peluttiero, ad affossare i bilanci era stato in particolare l’affitto d’azienda del giornale Il Reporter, un mensile fiorentino che aveva accompagnato fin dai primi tempi l’ascesa dell’allora sindaco della città del Giglio e che versava già in pessime acque. Per Bruno Pagamici, commercialista di Provenzano e coimputato di Bovoli, il finanziamento da 250mila euro accordato a Il Reporter e a Chianti News, nel settembre 2012, era “un favore che non si poteva rifiutare”.
Poi c’è il mistero più grande, legato ai volantini. Con i supermercati che pagavano decine o centinaia di migliaia di euro per consegne che non venivano effettuate. Provenzano sostiene che “si era concordato di inserire nelle cassette condominiali il 30% dei volantini che ci venivano consegnati. Le fatture però le facevamo sul 100% degli stampati”. Fossati dice che quella mole di carta a lui non veniva nemmeno consegnata: “I nostri residui erano nell’ordine del 2 o 3%, non certo del 70%. In linea di massima tutto quello che ci veniva consegnato era poi distribuito”. I “resi” sono abnormi: 2700 tonnellate di carta smaltita nel solo 2011 e altre 2242 tonnellate l’anno dopo. C’è agli atti una mail tra la compagna di Provenzano e Tiziano Renzi in cui quest’ultimo chiede alla Direkta di occuparsi dello smaltimento senza mettere in mezzo la Eventi 6: “Per la carta preferiamo non apparire riguardo al passato, per il futuro se voi non ritenete di continuare provvederemo in altra maniera”.
Si dirà che in tutto questo la persona di Laura Bovoli non c’entra o che non è qui l’origine della bancarotta. Sotto il profilo giuridico può essere una risposta inoppugnabile. Sotto quello politico, no. Quello che ci sentiamo di dire è che il processo Direkta non è la storia di una persecuzione e che nessuno dovrebbe “vergognarsi” per questo. Non il sostituto procuratore Pier Attilio Stea che ha portato avanti la sua ricostruzione nel rispetto delle regole processuali. Non i difensori che hanno lavorato con altrettanta correttezza. Non i giudici che hanno vagliato tutti gli elementi con coscienziosità. E - crediamo - nemmeno chi il processo l’ha raccontato al pubblico, un’udienza dopo l’altra, senza fermarsi ai rinvii a giudizio per poi riprendere tutto con la sentenza, come troppo spesso accade sui giornali. Su questo - ma solo su questo - ci sentiamo di concordare con il senatore Renzi.

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