Presunti maltrattamenti al centro diurno di via Savona: in carcere presidente e coordinatrice
Il primo filone del processo che ha coinvolto la cooperativa sociale cuneese "Per Mano" prenderà il via a dicembreNuovi sviluppi nell’ambito dell’inchiesta per maltrattamenti che ha coinvolto la Cooperativa sociale “Per Mano”, che nel centro diurno di via Savona, alle porte di Cuneo, accoglie ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico e disabilità mentali.
Sono in carcere la direttrice della struttura Emanuela Bernardis e la coordinatrice Marilena Cescon, arrestate nell’ambito di un secondo filone d’indagine con analoghe accuse. A carico di altri indiziati sono stati disposti quattro arresti domiciliari e undici divieti di avvicinamento, alcuni con braccialetto elettronico.
Il processo relativo al “primo filone” partirà a fine anno e vede imputate la direttrice e la coordinatrice della coop, insieme a una psicologa, infermieri e oss: alcuni di loro figurano nella nuova lista degli indagati, che comprenderebbe anche altri operatori inizialmente non coinvolti. A portare al primo rinvio a giudizio era stato un “clima di sopraffazione e degrado nel quale si ripetevano violenze, umiliazioni verbali e punizioni arbitrarie”. I fatti contestati sarebbero avvenuti tra il 2014 e l’aprile 2019. Alla coordinatrice e alla direttrice si imputa indifferenza e trascuratezza verso i bisogni essenziali e di cura di quindici ospiti, affetti da autismo associato a patologie psichiatriche: alcuni di loro all’epoca dei fatti erano ancora minorenni (il più giovane è un classe 2006). Tra gli episodi citati c’è un caso in cui un ragazzo sarebbe stato colpito con una scarpa al volto da uno degli infermieri, mentre a un altro la psicologa avrebbe schiacciato i genitali con il ginocchio per contenerne gli impulsi sessuali.
Incuria e pressapochismo, sostengono gli inquirenti, anche nel variare a piacere le dosi di psicofarmaci o nell’abbandonare gli ospiti per lungo tempo nella cosiddetta “relax room”, dove venivano accompagnati durante le crisi di agitazione psicomotoria. C’era però, sostiene l’accusa, chi ci finiva soltanto perché “noiosa”, o chi vi veniva lasciata nuda dopo essersi orinata e defecata addosso. Ai disabili sarebbero state somministrate porzioni di cibo inferiori alle porzioni previste, o anche in cattivo stato di conservazione. In un caso, una ragazza sarebbe stata obbligata a camminare con indumenti sugli occhi, perché aveva la fobia del buio.
I vertici della cooperativa sarebbero stati a conoscenza di tutto e anzi avrebbero prescritto al personale, non abbastanza formato per gestire le crisi dei pazienti, di non lasciare segni che avrebbero richiesto di fornire giustificazioni ai familiari. Diversi tra loro si sono costituiti come parti civili.
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