Smartphone ai mafiosi detenuti, perquisizioni anche a Cuneo e Fossano
Due carceri della Granda tra i dodici istituti penitenziari coinvolti nell’operazione antimafia partita da Genova. Dodici i reclusi coinvoltiAlle prime luci dell’alba è stata avviata in dodici istituti penitenziari, tra cui la casa circondariale di Cuneo e la casa di reclusione di Fossano, una vasta operazione volta a smantellare la rete criminale che avrebbe favorito l’introduzione e l’uso illecito di smartphone e dispositivi di comunicazione da parte dei detenuti.
L’operazione “Smartphone”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di Genova, è eseguita dal Centro Operativo Dia di Genova con il supporto della Polizia Penitenziaria, della Polizia di Stato e dei Carabinieri. Le perquisizioni sono in corso anche nelle carceri di Ivrea, Alessandria, Tolmezzo, Chiavari, La Spezia, Parma, San Gimignano, Lanciano, Rossano e Santa Maria Capua Vetere.
Sono 31 le persone indagate, a vario titolo, per i reati di procurata detenzione o uso indebito di telefoni in carcere e ricettazione, con l’aggravante della finalità mafiosa. Dodici i detenuti direttamente coinvolti. Tramite intercettazioni, analisi dei tabulati e accertamenti telematici gli inquirenti hanno ricostruito un traffico interno di oltre 150 cellulari e 115 SIM nelle sezioni di alta sicurezza del carcere di Genova-Marassi.
Smartphone e altri dispositivi venivano introdotti illegalmente negli istituti penitenziari e messi a disposizione di soggetti ristretti per reati di mafia, consentendo loro di mantenere comunicazioni illecite con l’esterno e continuare a gestire rapporti e attività delle cosche. Le sim venivano attivate in negozi compiacenti del centro storico di Genova e intestate a persone inesistenti o inconsapevoli, spesso cittadini stranieri. I telefoni, anche di dimensioni ridottissime, venivano introdotti in carcere attraverso pacchi, consegne durante i colloqui familiari o altri canali clandestini. Anche alcuni parenti dei detenuti risultano tra gli indagati.
Una volta all’interno, i dispositivi venivano passati di mano in mano tra i detenuti, permettendo loro di mantenere contatti con membri delle organizzazioni criminali liberi o reclusi altrove. Le comunicazioni riguardavano anche il recapito delle cosiddette “ambasciate”, messaggi riservati utili a impartire ordini o coordinare attività delle cosche, in particolare della ’ndrangheta.
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