Una microspia nell’auto dell’ex moglie: minacciava i datori di lavoro perché la licenziassero
Condannato un pregiudicato: “Non accettava la nostra separazione” ha raccontato in aula la donna che lo ha denunciatoAi carabinieri che lo avevano raggiunto in casa, per una perquisizione, aveva detto soltanto “vi stavo aspettando”. Una circostanza curiosa, secondo il sostituto procuratore Francesco Lucadello, che ha rievocato l’episodio nella requisitoria: A.G., pregiudicato di nazionalità albanese, è stato condannato a due anni e quattro mesi per stalking e minaccia.
A denunciarlo la ex moglie, la quale aveva interrotto la relazione dopo che lui finito in carcere: “Non accettava la nostra separazione: mi seguiva a lavoro, mi chiamava giorno e notte, mi minacciava con i messaggi” ha spiegato in aula la donna. Di quelle chiamate continue danno atto i carabinieri, perché il telefono di lei continuava a squillare perfino mentre la donna era in caserma a Borgo San Dalmazzo, a presentare denuncia: “Mi chiedeva di tornare indietro, sennò l’avrebbe fatta finita: diceva anche che non mi avrebbe permesso di rifarmi una vita, avrebbe ucciso me e un mio possibile compagno e poi si sarebbe suicidato”.
L’episodio più grave risale al luglio del 2022, una sera in cui la persona offesa si stava recando in macchina da un’amica, a Savigliano: “Ho riconosciuto l’auto del mio ex marito: aveva l’abitudine di accendere i fendinebbia. Lui aveva proseguito verso Savigliano e io, al telefono con la mia amica, ho chiesto di chiamare i carabinieri: ero al telefono con la cuffietta e usavo un codice”. Un sospetto, quello di essere controllata a distanza, che lei aveva già maturato: “Il mattino dopo mi sono messa a cercare in macchina, sotto il volante ho trovato un oggettino con due pulsanti, rosso e verde, e una scheda sim: era appiccicato con lo scotch e io l’ho staccato. Ho chiamato i carabinieri e mi hanno consigliato di non fermarmi a Saluzzo dove dovevo andare per lavoro ma proseguire, facendo finta di niente, fino alla caserma di Verzuolo”.
I carabinieri avrebbero poi ritrovato in casa dell’uomo un dispositivo gps, collegato a microfono che poteva essere controllato a distanza. Ulteriori riscontri sono emersi riguardo alle telefonate di minaccia subite da un esercizio commerciale di Borgo, presso il quale lavorava la signora: una voce anonima sosteneva di chiamare da Catanzaro e avvertiva che lei se ne sarebbe dovuta andare via “per il bene del titolare”. La telefonata, ricevuta dalla figlia del negoziante, aveva molto allarmato i destinatari, tanto da indurli ad allontanare la loro collaboratrice per non correre rischi: “In un periodo di grande difficoltà la signora si è trovata da sola, con i figli da mantenere e una fonte di reddito in meno” ha ricordato l’avvocato Enrico Gaveglio, patrono della parte civile costituita. Nei suoi confronti i giudici hanno disposto 25mila euro di risarcimento.
Il legale dell’imputato, l’avvocato Corrado Sogno, pur non disconoscendo gli atti persecutori sosteneva che andassero collocati in un periodo di tempo differente da quello della querela: “Manca prova dell’elemento psicologico, cioè che la vittima abbia subito il perdurante stato di ansia o paura o modificato il proprio stile di vita. Questo sicuramente può essere avvenuto in un periodo successivo”. Quanto alla minaccia, l’eventuale intimidazione sarebbe stata rivolta a una persona diversa da quella che aveva presentato denuncia. Nei confronti del condannato è stata disposta anche la revoca della sospensione condizionale.
Andrea Cascioli

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