Amministrava la pensione del cognato disabile, ora è sotto accusa: “Ma era tutto in famiglia”
La donna è accusata di aver utilizzato parte delle somme per spese personali: “I soldi li ho sempre restituiti, non ho pensato di tenere gli scontrini”Ancora oggi, raccontano i familiari, quel loro parente disabile chiede di poter tornare a casa dal centro diurno residenziale in cui si trova ricoverato a Mondovì: “Non so più cosa dirgli. Due mesi fa gli ho comprato una maglia e ce l’ho ancora a casa” spiega la cognata, sua ex amministratrice di sostegno.
La donna è oggi a processo per peculato e omissione d’atti di ufficio. A segnalarla al giudice tutelare è stato un avvocato che le è succeduto nel ruolo di amministratore, da lei ricoperto fra il 2018 e il 2022. “Abbiamo appurato che non è mai stata consegnata nessuna rendicontazione ad eccezione di quella del 2018, peraltro consegnata in ritardo nel 2020” ha confermato il luogotenente della Guardia di Finanza Mario Imbrogno, cui sono stati demandati gli accertamenti sui movimenti di denaro.
La vicenda verte sulle cure di un uomo affetto da tetraparesi spastica, accolto in una struttura specializzata a seguito della morte del padre. Nella casa dove abitava in precedenza, in un paese della Langa monregalese, ora risiedono la cognata e sua figlia. Tra i pagamenti effettuati dal conto del disabile, ha spiegato Imbrogno, risultano il rinnovo assicurativo di una polizza RC auto intestata all’imputata e il saldo di un’officina di riparazioni e revisioni auto. Ma anche un trattamento odontoiatrico effettuato dalla nipote e circa 1500 euro di spese di ristorazione nel solo 2019, tra bar, ristoranti e alimentari.
L’imputata si difende, spiegando di aver sempre considerato la famiglia del defunto compagno come la sua: “Mio suocero mi dava anche una mano: prima che mancasse ha sempre gestito lui la pensione del figlio e non mi aveva spiegato nulla. Se avessi saputo mi sarei rifiutata di fare da amministratrice, non ho mai pensato di tenere gli scontrini e non ero al corrente di cosa si dovesse fare”. In ogni caso, aggiunge, “i soldi che ho usato nei momenti di difficoltà li ho restituiti appena possibile: era una cosa in famiglia, non ho mai rubato niente e pensavo fosse normalissimo”.
Quanto al debito con la residenza, per un ammontare di oltre 15mila euro, l’imputata afferma di avere pagato parte della somma. L’attuale responsabile del centro diurno conferma che la precedente gestione ritardava, anche per diversi mesi, nell’emettere le fatture. Conferma inoltre che l’ospite ha chiesto più volte di essere riportato a casa, ma ciò non è stato finora possibile: “I problemi strutturali, come il montascale non in sicurezza, impedivano di rimandarlo a domicilio”. La figlia dell’imputata ha parlato di un tentativo di esaudire i desideri dello zio: “Dopo la morte di mio nonno, mia mamma ha cercato di attivarsi il prima possibile per far tornare mio zio a casa qualche volta, anche se non era possibile farlo tornare tutte le sere e nei weekend come prima. Mi ero fatta fare dei preventivi per l’ascensore: la sua camera c’è tuttora, anche se lui non è potuto tornare”.
Anche un cugino del disabile difende l’operato della donna: “Si è sempre prodigata per la famiglia: si occupava dei pasti, mio cugino andava al centro diurno e tornava a casa a dormire. Lei si è sempre prestata”. Il processo è rinviato al 25 gennaio prossimo per la discussione.
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