Botte e umiliazioni nel locale gestito con la fidanzata. Il giudice condanna l’ex titolare
Dal lancio di uno sgabello all’aggressione con le mani sul collo, una giovane ha raccontato le ragioni della denuncia: “Prima eravamo una coppia normale”A far precipitare le cose sarebbe stata la scelta di avviare assieme un’attività commerciale, per somma sfortuna poco prima del Covid. “Prima c’erano discussioni normali, come tra tutte le coppie” assicura la ragazza, che ha denunciato per maltrattamenti l’ex fidanzato. Lui e lei, nemmeno trentenni, si erano lanciati nella gestione di un bar in un paese della valle Tanaro.
“Mi facevano tenerezza perché erano due ragazzi giovani che lavoravano tanto” ha raccontato una delle testimoni sentite in tribunale. Lo dicono anche gli amici di entrambi: l’impegno non mancava. L’armonia tra loro invece sì: “Ormai - sostiene la giovane - era una discussione unica, una volta ha preso il braccetto della macchina del caffè e ha fatto per lanciarmelo. Pugni, calci e insulti anche davanti ai clienti”. Un’escalation che sarebbe iniziata quasi subito: “Alcuni clienti avevano chiesto di organizzare un aperitivo per capodanno e sono iniziate queste discussioni. Mi diceva ‘non capisci un c…’”.
Le tensioni si erano esasperate prima e durante la chiusura per il Covid, qualche mese più tardi. L’autrice della querela ha parlato di una scopa spezzata durante una scenata di rabbia e di uno sgabello lanciato in cucina, dopo che lei era scoppiata a piangere. “Diceva che io non riuscivo ad andare avanti senza di lui” ricorda la ex fidanzata ed ex socia, parlando di una situazione in cui ogni lieve mancanza poteva scatenare reazioni violente: “Quando versavo vino nei calici, se per caso mi cadeva una goccia in più erano insulti e pugni”. Nessuna denuncia prima del 2022, nemmeno visite in ospedale o confidenze con la famiglia lontana: “Non ho mai chiesto aiuto. Avrei dovuto farlo prima? Sì, sono arrivata al punto che mi ha messo le mani sul collo”.
Quest’ultimo episodio è il più eclatante tra i fatti che il pubblico ministero Luigi Dentis ha rievocato, chiedendo una pena di due anni a carico di C.R., l’imputato: i due ragazzi, ha detto, “erano chiamati a svolgere un lavoro estremamente faticoso come quello di gestire un bar, forse con una consapevolezza non adeguata”. Pesavano, per la Procura, le testimonianze degli amici sugli insulti e le minacce sentiti fin da prima della crisi definitiva. Ma anche il successivo percorso dell’accusato, che ha rispettato le misure cautelari e partecipato alle udienze. Per questo il pm chiedeva il minimo della pena.
“La normativa del codice rosso pone una condizione di difficoltà per gli operatori di giustizia in genere, perché all’allarme si associa l’allarmismo” ha fatto presente l’avvocato Marco Feno, legale dell’uomo, tacciando di “genericità” le dichiarazioni della persona offesa: “Nessuna denuncia, nessuna querela ritirata, nessun accesso alle forze dell’ordine, anche solo con richiami di pattuglie che non si siano tradotti in attività successive. Non abbiamo evidenze di percosse, se non il referto del 118 chiamato dai carabinieri: dalla lettura si evince chiaramente che non c’è nessun sintomo di traumi, come graffi, ferite o lividi”.
Per il difensore, all’origine della denuncia un “sottofondo di interesse anche economico” nella gestione del bar: “Una sola teste, amica di lei, riferisce di averla vista una volta con un livido sul braccio: è la persona che ha ospitato più volte la ragazza, ma non ci dice che lei abbia posto in relazione questi lividi con un’aggressione. Sappiamo che il bar era stretto e gli urti frequenti, c’era molta agitazione”. Il giudice Francesca Grassi, all’esito dell’istruttoria, ha condannato a due anni di carcere l’imputato come richiesto dall’accusa. Alla parte civile, rappresentata dall’avvocato Giorgio Giacardi, l’uomo dovrà versare la somma di 10mila euro. È prevista anche la frequentazione di un percorso di recupero.
Andrea Cascioli

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