Costretta a sposarsi ancora minorenne, denuncia il marito e lo fa condannare

Ad ascoltare le parole di lei, oggi poco più che ventenne, sembra di sentire una storia che viene da un altro tempo, o da un altro mondo: parla di un matrimonio combinato, quando la sposa era ancora minorenne, poi del suo arrivo in Italia da sola, del ricongiungimento con lui e di una vita che comincia a starle stretta. Finché dalle scenate di gelosia si è passati alle botte.

 

La protagonista, una ragazza albanese, ha denunciato i maltrattamenti del marito dal quale si era nel frattempo separata. L’uomo è stato condannato a due anni e sei mesi di carcere: la datrice di lavoro, divenuta la migliore amica di lei, raccontava di una situazione resa ancora più pesante dalle pressioni della famiglia, al di là del mare. “Aveva paura che la sua famiglia la facesse fuori, ne aveva proprio il terrore” ha ripetuto anche in aula la donna che, insieme a un altro amico, aveva ricevuto le richieste d’aiuto. In una sera di luglio del 2022 erano arrivati foto e messaggi: “Ha raccontato che già quando aveva conosciuto suo marito lui aveva alzato le mani. Sulla convivenza a Verzuolo non è scesa troppo nello specifico, ma ha detto che non era libera di fare ciò che voleva, perché temeva le conseguenze”.

 

Già la sera prima c’era stato un diverbio violento. Provocato, pare, dal fatto che a cena non fossero state servite abbastanza patatine alla nipote di lui: “Un contesto di timore anche in situazioni ordinarie” secondo il sostituto procuratore Francesca Lombardi, che per l’imputato aveva chiesto la condanna a tre anni menzionando un referto del 118 nel quale si dava atto della presenza di lividi. “Emerge un quadro di una persona offesa vulnerabile - ha riassunto il pm - e che soprattutto non può essere colpevolizzata solo perché a 22 anni ha capito che la sua vita poteva essere diversa. La ragazza non si è sottratta all’esame e non si è costituita parte civile, ha solo ritenuto di dar corso a un suo personale senso di giustizia”.

 

La difesa aveva parlato di un processo “viziato da differenze culturali e linguistiche”, ma anche da fraintendimenti su chi avesse davvero sottratto alla giovane i suoi spazi: “Che le pressioni non siano state del marito ma della famiglia ce lo dice anche l’attuale convivente di lei: ci dice che squillava il telefono ogni tre per due e non era il marito, ma la famiglia di lei”. Dalle legali dell’imputato la sottolineatura del fatto che la donna avesse parlato di “spinte” ma non di colpi subiti durante i litigi. Lui, dal canto suo, sarebbe stato “geloso di una relazione che cominciava a intravedere” ma non violento: “Nessuno nega che fosse una vita matrimoniale per lei spiacevole e che volesse liberarsi di un marito che ci dice di non aver mai amato. Non c’è prova delle violenze, semmai di un menage poco piacevole”.

Andrea Cascioli