False manutenzioni all’antifurto, il “tecnico” era un truffatore: “Sull’assegno scriveva ‘ardware’”
Condannato un 53enne, assolto il collega. Entrambi lavoravano come procacciatori per una ditta di Cardè: a tre anziani sarebbero stati sottratti quasi 100mila euroSi chiude con una condanna e un’assoluzione il processo per una maxi truffa sull’installazione e la manutenzione di antifurti domestici, intentato nei confronti di due ex dipendenti di un’azienda di Cardè. D.B., classe 1972, originario di Torino e residente a Racconigi, è stato condannato dal giudice Mauro Mazzi a due anni e sei mesi di reclusione, più 600 euro di multa. Assolto per non aver commesso il fatto l’ex collega e coimputato G.P., classe 1973, anche lui di origini torinesi, residente a Cardè.
Entrambi svolgevano incarichi come procacciatori d’affari per conto della PSP Security, oggi messa in liquidazione. In questa veste, D.B. aveva contattato alcuni anziani clienti per eseguire non meglio precisate manutenzioni agli impianti installati. Ad accorgersene per prima era stata la nipote di uno di loro, un signore di Magliano Alpi, in seguito deceduto. Nelle sue carte contabili emergeva un giro di assegni e versamenti per oltre diecimila euro in poco più di un anno. Troppi, aveva pensato la donna, tanto più che, si sarebbe appurato in seguito, il contratto prevedeva già cinque anni di assistenza gratuita.
“A insospettirmi è stato anche il fatto che in uno degli assegni la causale riportasse ‘aggiornamento ardware’, scritto senza la h” ha raccontato in aula l’autrice della prima querela: “Difficile pensare a un errore del genere da parte di un’azienda del settore”. Il maglianese, ha confermato il sovrintendente della Squadra Mobile Lucio Simon, “continuava a pagare somme non dovute con la scusa delle manutenzioni all’impianto”. A D.B. erano state sequestrate, in una perquisizione, copie di fatture ritenute “poco attendibili” e riconducibili ad altri due anziani, acquirenti della PSP: un signore di Borgo San Dalmazzo e una signora di Caraglio, oggi trasferitasi in una Rsa. “La numerazione delle fatture non corrispondeva a quelle nell’archivio della PSP, quindi erano false. L’intestazione però era identica” ha spiegato il poliziotto.
In totale si parla di un giro di soldi per poco meno di centomila euro, sommando insieme gli 80mila pagati dalla caragliese, gli oltre diecimila del maglianese e i circa 4.500 euro che l’anziano borgarino afferma di aver sborsato. Quest’ultimo ha confermato di aver conosciuto entrambi gli imputati: D.B. si sarebbe recato ad eseguire riparazioni a casa sua in quattro diverse occasioni, a suo dire per conto della ditta, venendo pagato in nero. Di cosa si trattava? “Una volta ha cambiato la sirena, poi ha sostituito tutti i sensori delle porte esterne. Diceva che non funzionavano più”. G.P. lo avrebbe accompagnato: “Mi portava in banca per i prelievi e poi mi riportava a casa” ha precisato la persona offesa.
“Si tratta in tutti e tre i casi di soggetti fragili” ha sottolineato nella requisitoria il pm Luigi Dentis, che aveva chiesto la condanna per entrambi gli imputati, rispettivamente a 3 anni e sei mesi per D.B. e a 2 anni e 4 mesi per G.P.: “Sono soggetti che operavano sullo stesso territorio entrambi come procacciatori d’affari, tant’è che anche in occasione della perquisizione sono stati fermati insieme”.
Una conclusione contestata da entrambe le difese. Quella di D.B., rappresentata dall’avvocato Davide Ghione, ha sostenuto che “si tratta di prestazioni di servizi effettivamente avvenute e senza che sia stata data prova di una condotta tale da falsare il percorso volitivo delle persone offese: i lavori non erano mai contestuali”. Per l’avvocato Maurizio Nicastro, legale di G.P., rileva il fatto che “a casa sua non sono mai state trovate fatture false, esercita questa attività da 25 anni e a tutt’oggi è un soggetto incensurato”.

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