“Non farmi diventare cattivo”: arrestato per estorsione, ora è a processo
Il pregiudicato pretendeva da una donna di Verzuolo la restituzione di un debito da 30mila euro, contratto dall’ex fidanzato. Lui però nega di averla minacciataPretendeva la restituzione di una forte somma che aveva prestato, tempo prima, all’ex fidanzato di lei. Trentamila euro per l’acquisto di un capannone, poi sfumato dopo che la coppia si era lasciata e la loro società era stata sciolta. Lui, però, voleva il denaro indietro da entrambi: “Venne al mio negozio a chiedere i soldi, gli dissi che la cosa non mi riguardava ma lui si fece minaccioso” ha raccontato in una precedente udienza la persona offesa, una commerciante residente a Verzuolo. Frasi come “so dove abiti, che bella macchina ha tuo fratello” l’avrebbero intimorita ancor più.
Daniele Decolombi, un pregiudicato di Villafranca Piemonte, appartenente alla comunità sinti, è stato arrestato in flagranza dai carabinieri nel dicembre scorso, mentre riceveva una busta con 600 euro dalla presunta vittima. Da allora è sottoposto al braccialetto elettronico. Ad avvertire il comandante della stazione di Verzuolo, il maresciallo Roberto Besante, era stato il padre della donna soggetta al presunto ricatto: “Mia figlia era depressa, ha detto che le venivano chiesti soldi per un debito dell’ex fidanzato e che era disperata perché non ce la faceva economicamente” ha ricordato davanti al giudice.
Anche la madre e il fratello spiegano di essere stati messi al corrente delle richieste di denaro. La prima, in particolare, afferma di avere a sua volta effettuato pagamenti per conto della figlia: “A volte glieli consegnavo in una busta e a volte a mano: ricordo una volta 500 euro, un’altra volta 250. Quella volta lui si era arrabbiato, perché erano troppo pochi. Non voleva prenderli, ha detto ‘così non va bene, chiamo tua figlia e la faccio ragionare’”. Le minacce, aggiunge, riguardavano anche lei: “Diceva a mia figlia che sapeva dove io abitassi e che ci controllava”. Il fratello della querelante, a sua volta, ha confermato di aver trasportato alcuni beni a casa del creditore: “Erano delle compensazioni” ha detto.
“Mia figlia e il fidanzato avevano detto di avere intenzione di prendere un capannone per l’attività di lui” ha spiegato ancora la madre, precisando però di non essere al corrente di prestiti. “Non farmi diventare cattivo” avrebbe detto il presunto estorsore, in più occasioni, a entrambe le donne.
Anche l’imputato ha raccontato la sua versione: il prestito c’era, assicura, le minacce no. “Ho prestato 30mila euro alla coppia, avrebbero dovuto farmi una ricevuta, ma due o tre giorni dopo si sono lasciati e io sono rimasto alla finestra” ha spiegato. Solo l’uomo, ha detto, aveva chiesto i soldi, sostenendo però che la compagna fosse “in società”: di qui le richieste di denaro. “Lui li ha restituiti quasi tutti i miei 15mila euro: anche lei me li ridava, poco a poco” ha detto. Quando il denaro non bastava, si passava ad altro: un furgone, un computer, una scala, delle rampe per camion. Il tutto, sostiene l’accusato, senza pressioni di alcun genere: “Mai, addirittura quando lei mi ha detto che rischiava che le tagliassero la luce non ho voluto niente, per un po’ di tempo l’ho lasciata tranquilla”. Al momento dell’arresto, tuttavia, lui aveva mentito sulla provenienza dei 600 euro nella busta, dicendo ai carabinieri di averli ritirati poco prima dal bancomat: “Non capivo cosa succedesse” si è giustificato.
Il 6 novembre è fissata la conclusione del dibattimento, nella stessa udienza si attende anche la discussione.

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