Quattro anni e mezzo al “marito padrone”: “Violenze fin dal giorno del matrimonio”
La donna aveva denunciato le botte di cui erano stati testimoni anche la madre e i figli. Per il pm era “succube di una cultura che la voleva sottomessa”Oltre dieci anni di convivenza, la nascita di due figli e le violenze protratte, avrebbe raccontato a una datrice di lavoro in seguito, “fin dal giorno del matrimonio”: “Quel giorno suo marito le aveva messo le mani al collo” ha ricordato la testimone, durante il processo per maltrattamenti a carico dell’uomo.
La coppia, albanese, era in Italia dal 2009 e aveva vissuto a Costigliole Saluzzo. Un rapporto squilibrato e possessivo, a detta dei familiari di lei. “Era successo che lui l’avesse picchiata perché aveva trovato capelli di donna nello scarico del lavandino” ha sostenuto il fratello: “Lei doveva preparargli i vestiti prima che facesse la doccia e preparargli cena, a volte buttava l’olio in casa apposta per farla pulire”. Nessuna considerazione per le opinioni della moglie: “Qualsiasi cosa mia sorella dicesse non gli andava bene: l’uomo prendeva le decisioni. L’unica persona che lei aveva vicino ero io, per questo minacciava di farmi del male: ‘Non te lo faccio tornare a casa’ ”.
La ex suocera dell’imputato ha riferito a sua volta di violenze di cui era stata sia testimone che vittima, dopo aver cercato di difendere la figlia durante una lite. Ospite in casa sua a quel tempo, ha detto di essere uscita dalla stanza insieme alla nipote, una sera, dopo aver sentito un trambusto. La donna sarebbe stata sbattuta contro il muro: “Io gli chiedevo di smettere, perché lei aveva avuto un intervento chirurgico pochi anni prima. Lui la picchiava ancora più forte”. Perfino la nipotina sarebbe intervenuta: “Ha detto che poteva chiamare i carabinieri, perché a scuola le avevano appena insegnato il numero”. L’oggetto del contendere era il fatto che i figli fossero ancora alzati a tarda ora: “Mia suocera si è messa in mezzo come sempre” ha replicato l’accusato.
Per lui la condanna del giudice Elisabetta Meinardi ammonta a quattro anni e sei mesi di reclusione. Tanti quanti ne aveva domandati la pubblica accusa. “La loro relazione - sostiene il pm Anna Maria Clemente - è stata un susseguirsi di episodi in cui lei veniva picchiata anche quando era incinta. Ed è proprio lei a ridimensionare i fatti quando dice che erano ‘solo schiaffi’, succube di una cultura che la voleva sottomessa”. Un atteggiamento compendiato, secondo l’accusa, nell’idea che “la donna deve fare tutto quello che dice il marito”.
Non è bastato neanche il trasferimento in Italia e il confronto con una diversa cultura, aggiunge il pubblico ministero, a far mutare atteggiamento all’uomo. Anche la difesa ha ammesso l’esistenza di un “problema culturale”, pur rifiutando un quadro privo, secondo il legale dell’uomo, di “elementi cronologici e fattuali che potessero confermare le accuse”. Per il patrono di parte civile, invece, si tratta di “una storia di soggezione, subcultura, oppressione”, maturata “in un ambiente che pretendeva da lei sottomissione”.

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