Gigi Buffon a tutto campo: “Sbagliare mi ha reso un uomo migliore”
Il campione del mondo riceve la Castagna d’Oro a Frabosa: “La Nazionale deve tornare a trasmettere attaccamento alla maglia. Ilaria D’Amico? È il mio equilibrio”Bagno di folla in un Gala Palace gremito, a Frabosa Sottana, per la consegna della Castagna d’Oro a Gianluigi Buffon. L’ex portiere di Juventus e Nazionale ha ricevuto il prestigioso riconoscimento in occasione della 37ma edizione della kermesse che, ogni dodici mesi, trasforma il Comune della val Maudagna nella capitale dello sport italiano. Il 47enne di Massa Carrara si è reso protagonista di un talk di 40 minuti con Marino Bartoletti, imperniato sul suo libro “Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi”, scritto a quattro mani con Mario Desiati e vincitore del 62° Premio Bancarella Sport.
Una testimonianza nero su bianco di un’esistenza permeata da grandi emozioni e crescente consapevolezza, tanto che Buffon ha sottolineato di essere oggi estremamente severo con se stesso: “Sono stato molto indulgente fino ai 20-21 anni, perché fino a quell’età mi sentivo in diritto di commettere e imparare dai miei errori - ha esordito il campione del mondo di Germania 2006 -. Era una sorta di bonus, che tuttora ritengo giusto essermi concesso, in quanto raggiungere la fama in gioventù non significava assumere automaticamente la postura di un uomo adulto. Nella vita ho sempre cercato di guardarmi allo specchio e di non abbassare mai lo sguardo: ho commesso errori, ma in buona fede, in maniera autentica. Sono sempre stato autentico. Mi sono anche vergognato degli sbagli fatti, però li ho sempre pagati in prima persona. Questa è la forma migliore di apprendimento. Questo è l’unico modo per diventare un uomo migliore”.
Il titolo del suo manoscritto è la metafora del mettersi in discussione. Una pratica divenuta una costante per l’ex calciatore: “Mi è sempre piaciuto cavalcare la mia vita, la mia onda. Ogni tanto eccedere, ogni tanto stare in disparte. Del resto, quando ti esponi tanto rischi di cadere, perché a certe latitudini il vento soffia forte. Oggi sono molto più sereno e felice rispetto a quand’ero ragazzo”.
Merito anche della sua dolce metà, Ilaria D’Amico, anch’essa presente al Galà della Castagna d’Oro di Frabosa Sottana: “Ilaria è la componente fondamentale del mio equilibrio, della mia felicità - ha affermato Buffon -. Inoltre, diventare padre e non rappresentare solo se stessi comporta un sapersi moderare negli eccessi. La mia vera indole è quella del ragazzo che entra in campo. Lo era anche quando avevo 45 anni, perché mi consentiva di esprimere la mia arte professionale e chi fossi io come persona, foss’anche per mezzo di una lite con un compagno o di un abbraccio con un avversario”.
La droga, il campo, i tifosi: “Ho smesso perché vedevo il fisico dei ventenni”
Un tuffo nel passato ha poi consentito alla bandiera della Juventus di veicolare un messaggio importante: la determinazione nel difendere le proprie scelte. “Sono uscito di casa a 13 anni e ho fatto tre o quattro anni di collegio, che è un insegnamento di vita, con tanti altri ragazzi che vivono situazioni quotidiane complicate - ha asserito -. In questo ci sono anche dei rischi, con persone che in maniera peccaminosa possono traviarti e portarti su strade sbagliate. Quando però hai scale valoriali, puoi decidere se fare o meno delle scelte. A 16 anni ero a una festa dell’istituto di ragioneria di Parma e c’era un ragazzo divertente, che aveva, secondo me, il difetto di esagerare con le droghe. Quella sera bevemmo qualche bicchiere in più e lui mi mise in bocca una cosa. Non ho idea di cosa potesse essere, ma ho immediatamente capito: senza pensarci due volte ho preso la pasticca e gliel’ho tirata in faccia, perché non sarei più stato un esempio sportivo. Quella è stata la prima sliding door. Sono sicuro che, se avessi preso quella pasticca, avrei vissuto male quel momento con me stesso. Su certe cose devi essere tassativo: se inizi ad aprire delle finestre, diventa un problema”.
L’affetto dei tifosi è stato una costante nella carriera di Gianluigi Buffon, dentro e fuori dal campo, ed egli stesso ha confessato di percepirlo ancora oggi, se possibile ancora più intenso. Questo perché “la gente avverte determinate emozioni e onde che provengono da altre persone. In me non trova il super mito, ma una persona molto vicina alla vulnerabilità e, quindi, credo di non creare distanza con la gente, che vede in me uno arrivabile, non il portiere che ha fatto un certo numero di record”. Un cammino sportivo, quello dell’estremo difensore, che è partito quando sulle distinte campeggiava ancora il nome di Franco Baresi e che è terminato negli anni Venti del secolo attuale. La decisione di smettere, ha spiegato con una battuta di spirito, è maturata a Parma, in Serie B: “Quando sotto la doccia vedevo accanto a me il fisico dei giocatori 20enni, provavo disagio. Mi dicevo: ‘Copriti, non puoi farti vedere così’”.
In Nazionale, dopo Riva e Vialli: “La difficoltà è interagire con le nuove generazioni”
Oggi Gianluigi Buffon è capo delegazione della Nazionale italiana, ruolo ricoperto, prima di lui, da due mostri sacri del pallone di casa nostra: Gigi Riva e Gianluca Vialli. A loro l’ex portiere non intende paragonarsi: “Luca e Gigi sono stati - al di là del loro incarico - due delle cinque persone nel calcio che quando parlavano o quando avevo modo di interagire con loro, mi facevano sentire fortunato. Mi hanno lasciato qualcosa dopo ogni dialogo. Il fatto di aver preso il loro posto è una sorta di soddisfazione e orgoglio personale. Non voglio instaurare alcuna rivalità o sfida con i miei predecessori, in quanto lo sport mi ha insegnato a riconoscere e accettare quando qualcuno è migliore di te. Questi due soggetti sono superiori a me; io spero di essere utile, sapendo di non essere loro”. Marino Bartoletti ha a questo punto aperto una rapida parentesi sulle passioni di Buffon, dalle collezioni di figurine, con l’ultimo album completato lo scorso anno, alle canzoni che hanno segnato la sua vita (“Montagne verdi” di Marcella Bella è stata la colonna sonora dei suoi viaggi estivi da ragazzo con la famiglia da Carrara a Lignano Sabbiadoro).
Tra queste, c’è anche il brano “Ragazzo fortunato” di Lorenzo Jovanotti: “Mi ritengo tale - ha rimarcato “SuperGigi” -, perché già quand’ero bimbo e avevo 3, 4, 5 anni, mi emozionavo e sognavo cose anche impensabili. Molti miei coetanei non avevano la capacità di perdersi in questi sogni, in queste suggestioni. Io, invece, sì. Immaginavo già allora di giocare a San Siro. Al di là dell’esserci riuscito, ho sempre avuto un approccio ottimistico alla vita. Questo è stato uno dei motivi per cui da ragazzo sembravo spocchioso e presuntuoso. Un aneddoto: ero all’esordio con la Nazionale italiana quando in albergo arrivò una giornalista russa per intervistarmi. Mi chiese cosa provassi nel sapere che avevo tutte le carte in regola per diventare il secondo miglior portiere della storia del calcio dopo Lev Yashin. Io le risposi prontamente che non ero d’accordo, che potevo essere migliore anche di Yashin. Passi per presuntuoso quando dici cose estremamente logiche, ma se perdi sogni, obiettivi ed emozioni, perdi ogni cosa”.
Thomas N’Kono, numero uno del Camerun fra gli anni Ottanta e Novanta, è il collega che lo ha ispirato maggiormente e, parlando di Nazionali, inevitabilmente il discorso non poteva che virare sui prossimi due dirimenti impegni che attendono l’Italia del ct Gennaro Gattuso. Le sfide contro Estonia e Israele si riveleranno con ogni probabilità decisive per blindare almeno il secondo posto nel girone di qualificazione ai Mondiali, che significherebbe spareggi. In veste di capo delegazione, Gianluigi Buffon sa bene come approcciarsi al gruppo: “La vera difficoltà è interagire con le nuove generazioni, diverse dalla nostra, e trovare la chiave per emozionarle e avere qualcosa in comune da condividere. In questo sono abbastanza bravo, nel mio 80 per cento di insensatezza riesco a essere stupido più di loro e questa mia stupidità genuina fa sì che si crei questo link naturale. Poi c’è un 20 per cento di estrema serietà: quando si deve migliorare, occorre intervenire e dirlo con fermezza e autorevolezza, perché si ottiene rispetto. A quel punto, hai libertà per assumere decisioni forti, ma non è facile: ci vuole un po’ di sensibilità”.
Che ne sarà, però, di questa Italia? “Al 90% andremo allo spareggio e queste ultime partite del girone dovranno prepararci per arrivarci in crescendo e mostrando le cose positive fatte vedere nelle ultime due gare. La spinta della gente e dei media in questo caso arriverebbe. Ecco, i media hanno bisogno di segnali da parte nostra, di credere in qualcosa di veramente forte. C’è bisogno di vedere attaccamento alla maglia”. Prima di cedere spazio agli altri campioni dello sport insigniti della Castagna d’Oro di Frabosa Sottana (la ginnasta Sofia Raffaeli e il nuotatore Simone Cerasuolo, oltre al radiocronista Francesco Repice, ndr), Buffon ha esternato il proprio disagio (nell’accezione più nobile del termine, ndr) nel rapportarsi con atleti provenienti da sport minori: “Loro valgono molto più di me per i tanti sacrifici fatti. Quando conquistano il meritato palcoscenico, io sono felice per loro e vorrei scappare, perché mi rendo conto che non c’entro niente”.
La battuta su Calciopoli: “Tredici scudetti, non undici”
Durante la consegna del riconoscimento, avvenuta per mano degli assessori regionali Paolo Bongioanni e Marco Gallo, del vicepresidente del Consiglio regionale Franco Graglia, del presidente della Provincia di Cuneo Luca Robaldo e dell’assessore comunale di Mondovì Alessandro Terreno, la lettura della motivazione è stata seguita da una precisazione di Gianluigi Buffon: nel suo palmarès gli scudetti “sono tredici e non undici, perché ci sono anche quelli vinti sul campo con la Juve e poi revocati con Calciopoli. Comunque, alla fine, più dei numeri contano le frasi che li hanno accompagnati, quindi grazie di cuore”.

calcio - Juventus - sport - Frabosa Sottana - Nazionale - gigi buffon - castagna d'oro