Cooperative di comunità, a Pradleves un incontro con Giovanni Teneggi: "Formula assolutamente interessante"
Lo scorso 25 febbraio l'evento con il responsabile nazionale Confcooperative per il settore: "La loro natura è lo sviluppo economico orizzontale della comunità. Valore che non va disperso"“La cooperazione all’interno delle comunità ha una storia lunghissima: se pensiamo alle cooperative la prima che possiamo citare è una realtà inglese. Nel 1894 gli abitanti di un piccolo paese crearono una cooperativa che gestisse lo spaccio del villaggio giunto a chiusura. Possiamo capire come sia una formula assolutamente interessante per le comunità di dimensioni limitate”: queste le parole che Giovanni Teneggi, responsabile nazionale di Confcooperative per quanto riguarda le cooperative di comunità, ha utilizzato per introdurre l’argomento di discussione in un incontro pubblico che si è tenuto il 25 febbraio scorso a Pradleves. A margine dell’evento, pubblicato online e disponibile sulla pagina Facebook della cooperativa EmotionAlp, abbiamo sfruttato la sua presenza sul territorio dalla sera precedente provato ad approfondire con lui il discorso.
Perché si parla di cooperazione di comunità prima ancora che di cooperativa di comunità?
La cooperazione è qualcosa che ha contraddistinto tutta la storia delle piccole comunità, ancora prima della nascita delle cooperative. Si parla di cooperazione attraverso i consorzi, le società di mutuo soccorso, altre realtà nemmeno codificate che hanno sempre contraddistinto le comunità o parti di esse. La cooperazione è qualcosa di necessario ogni qualvolta ci sia una difficoltà da superare o un’evoluzione da prospettare.
Che cos’è una cooperativa di comunità?
È un’azienda, che nel proprio bilancio (non quello elaborato dal commercialista, ma quello complessivo) deve iscrivere anche una valenza sociale, un miglioramento delle condizioni di vita dei soci e dei cittadini che ne fanno parte. Resta però un’azienda e deve perseguire questo miglioramento sociale attraverso una solidità economica. Se vogliamo è un’azienda nel cui bilancio non entra però solo un calcolo “monetario”.
Quali ambiti di applicazione possiamo immaginare?
Nella mia esperienza, girando per l’Italia, ho incontrato cooperative nate sempre per superare una situazione complicata dal punto di vista socio-economico; gli ambiti però sono molto diversi. Andiamo dalla gestione di un teatro alla realizzazione di una produzione idroelettrica, dalla rivitalizzazione di un borgo alla volontà di erogare servizi agli anziani di paese. Gli ambiti sono pressoché infiniti. L’elemento importante è la presenza all’interno di una comunità di una minoranza motivata. Non è pensabile una partenza con un coinvolgimento totale della popolazione: serve un gruppo, anche piccolo, coeso e determinato.
Quali passaggi legislativi sono stati fatti per il riconoscimento?
La situazione è attualmente complessa: non esiste una normativa nazionale che stabilisca una quadro preciso per le cooperative di comunità. Confcooperative, unitamente ad altri soggetti, ci sta lavorando e qualche novità in tal senso è prevista per la seconda parte del 2023. Tredici regioni su venti hanno legiferato in materia, riconoscendo la cooperativa di comunità quale soggetto economico. Sono però normative diverse una dall’altra e non sempre così calibrate. La legge regionale del Piemonte per esempio non prevede per la cooperativa di comunità la possibilità di gestire un esercizio commerciale, situazione assurda se si pensa che molto spesso alla base della loro nascita ci sono esigenze legate proprio a queste tematiche.
Si parla spesso di necessità di comunità, di processi partecipati e di rimettere le comunità con le loro specificità al centro del paese: come può avvenire questo?
È una bella sfida, in un contesto in cui le comunità piccole sono carenti di rappresentanti e di competenze, ed in cui il sistema dei bandi, esplicitati soprattutto dal PNRR, non è assolutamente adatto a favorire questo processo. Vi sono però sempre più “antenne” accese in giro per l’Italia, specialmente nelle aree marginali, che potranno diventare quella minoranza motivata di paese in grado di tracciare un percorso alternativo. Alcuni organismi aggregatori e portavoce di queste minoranze, penso ad esempio a Uncem, si stanno battendo per mettere queste tematiche sui tavoli della politica nazionale. Occorre persistere.
Quali rischi vede per le cooperative di comunità?
Il rischio maggiore è quello che vengano assimilate a strumenti già esistenti, mentre la loro natura è lo sviluppo economico orizzontale della comunità. Questo è il loro valore maggiore, e non va disperso.
Roberto Ribero

giovanni teneggi
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