"La primavera cosmica": il sogno sereno di Maiu Beltrando
Un disco che è una favola della natura, in cui l'eroe è un principe "del campo", che custodisce al suo interno il tempo e la luceMaiu Beltrando è musicista, compositore e produttore indipendente autodidatta. "La primavera cosmica" è il suo ultimo disco (si può ascoltare su Spotify, Soundcloud e YouTube), nato nello studio di produzione "Del Campo", a Borgo San Dalmazzo.
È bellissimo questo vecchio orologio.
"Era l'orologio di mio nonno, lo caricava ogni mattina come una specie di rito. Da bambino, i suoi rintocchi nel cuore della notte mi facevano pensare alla presenza dei fantasmi. Anni fa l'ho ritrovato e ho pensato che anche lui, in fondo, è uno strumento che emette un suono. Così eccolo qui che, con il suo ticchettio e i rintocchi, tiene il tempo nello studio".
Funziona? È fermo alle 6 e sono le 11.
"Sì ma a volte lo lascio fermo e lui segna l'ora sbagliata, come adesso. Ma tanto quando sono qui l'ora è relativa perché guardo la luce. Ho voluto che nel mio studio entrasse la luce del sole dalla finestra perché ti cambia l'umore e puoi avere la percezione del tempo che c'è fuori, a differenza di altri studi di registrazione che sono bui e sottoterra, dei bunker blindati dove suonare a qualsiasi ora senza dare fastidio. Essendo esposto a ovest, a una certa ora, entra la luce arancione del tramonto".
Dev'essere bellissimo suonare dentro quella luce.
"Sì, lo è. Suonare in quel momento può essere solo positivo e aumenta la bellezza delle sensazioni che hai. Non aumenta la bellezza di come stai suonando ma non è quello l'importante. L'importante è come ti senti tu, e suonare uno strumento con questa luce che ti avvolge non può che farti sentire bene. Lo stare bene è il motivo per cui faccio musica".
Uno studio che è un luogo in cui stare bene e fare musica per lo stesso motivo?
"Sì, ed è così per tutti i musicisti che lo frequentano per le mie produzioni. È banale ma la musica, per me, è un linguaggio che arriva prima della parola, suscitando emozioni. Credo che tutti siano liberi di esprimersi musicalmente senza per forza avere tecnica o preparazione scolastica. Un po’ come in un dialogo tra amici. Certo, ci sono situazioni dove tecnica e professionalità sono al primo posto e il lato creativo, e di improvvisazione, passa in secondo piano. È una questione di livelli e a me piace quello in cui mi trovo dove la musica è attitudine, divertimento e libertà di espressione".
La musica per te è relazione.
"Esattamente. È un livello in cui puoi decidere perché non è il tuo lavoro, come invece può essere per molte band che lo fanno di mestiere. Quando suono non è importante la performance ma divertirsi. Che non vuol dire che l'esibizione perfetta sia meno importante. È solo un'altra attitudine, un'altra sfumatura. C'è chi, come me, lega la musica alla poesia e all'istintività, chi la vede come un gesto sportivo in cui essere il più veloce o chi vuole raggiungere la perfezione con la formazione scolastica. Il bello è il rispetto reciproco per le diverse visioni, che tra musicisti c'è".
La musica è uno specchio che riflette chi la fa?
"Assolutamente sì. Il mio disco è totalmente auto prodotto: ho curato la registrazione, ho suonato tutti gli strumenti e ho fatto la produzione. Oggi molti artisti fanno una piccola parte del lavoro e sono il riflesso dell'industria del mainstream. Come se un pittore affidasse le bozze a qualcuno, i colori a qualcun altro e lui si occupasse solo dei ritocchi firmando il quadro. Non è una polemica anche perché è un mondo che dà lavoro a tanti tecnici e creativi. Semplicemente il mio è un altro percorso".
Qui ogni cosa sembra avere una storia, a partire da quel pianoforte.
"È un pianoforte del '75 che ho preso da un amico. Mi piaceva che fosse bianco, usatissimo e ingiallito, con i meccanismi a vista. Tutti gli strumenti che vedi hanno una storia: l'amplificatore era di un trans dolcissimo che suona la chitarra, il clavicembalo elettrico, trovato in autostrada durante un tour, era di un amico mancato, la tastiera arriva da un tossicodipendente di Torino, quelle casse sono state testimoni di tante feste, l'echo era di un imbianchino che faceva rockabilly e che aveva segnato con la vernice bianca i parametri con cui far uscire una voce alla Elvis. Sono tutti strumenti analogici: un po' come se fossimo in una vecchia Yashica a pellicola, per fare un paragone con la fotografia. E poi c'è la storia della mia famiglia perché abito in questa casa da quando ho 15 anni. Qui io e mio fratello abbiamo suonato tanto e siamo cresciuti con la fortuna di avere dei genitori che ci hanno sempre lasciato la libertà di esprimerci".
Come se ogni pezzo, oltre alla sua storia, portasse con sé anche il tempo. Perché studio "Del Campo?
"Qui fuori c'è un campo e vivere in questa casa, che era di mia nonna, ti fa sentire come un principe. Un principe che regna su un campo, felice e senza ambizioni di espandersi. Una figura uscita da una fiaba che protegge e si prende cura di un piccolo angolo di natura in una cittadina, un luogo che è un po' orto e un po' giardino selvaggio abitato da ricci, lucciole, lucertole, merli, tassi e altri animali. Un piccolo tesoro".
"Principe del campo" è la prima traccia. Nelle canzoni ci sono una dolcezza e un amore nelle parole e nei suoni che, insieme alla semplicità, danno vita a un immaginario fiabesco fatto di animali, fiori, stelle...
"Scrivo e immagino i testi qui. A volte arrivano istintivamente delle immagini che ne evocano altre, come in un flusso. Allora canto e registro immediatamente e l'immagine istintuale supera sempre qualunque tentativo di perfezionamento. Molte sono canzoni d'amore rivolte verso qualcosa di indefinito. Quando canto 'ogni volta che mi ritorni in mente (..) nei tuoi occhi potrei anche finire', se ci pensi, lì, non c'è un lui o una lei e può essere tutto e niente. Il fatto che sia indefinito ti rende libero di farlo tuo: può essere una divinità, la persona che ami, un genitore, un animale oppure puoi essere tu. Non è una cosa studiata a tavolino, mi viene naturale parlare in termini astratti. E a quel punto la canzone diventa tua. Sei tu che ascolti che scegli".
Un altro rintocco, il tempo sembra dire che è così che dev'essere. Le tue canzoni sono un sogno della natura. E visto che qui entra la luce del sole, possiamo dire che nel disco c'è davvero la natura.
"Sì e tutto questo, quando suono, mi aiuta a pensare di essere da un'altra parte e mi fa davvero fare questi piccoli sogni. Sogni pieni di animali, di elementi naturali e selvatici perché sono argomenti a cui tengo molto e che fanno parte del mio essere. Non mi considero un animalista ma siamo in un periodo in cui andiamo tutti così di fretta che ci dimentichiamo che non siamo soli. Bisognerebbe avere più rispetto. Se investiamo una volpe non distruggiamo solo quella vita ma magari anche quella dei cuccioli, sconvolgendo equilibri già molto precari".
Che cos'è "La primavera cosmica"?
"La stagione che aspetto di più, un'esplosione: i ciliegi che fioriscono e si colorano di bianco, gli insetti che ritornano e che mi piace osservare, gli animali che si risvegliano, il ritorno del caldo e della vita. Il momento in cui tutto esplode e rinasce e in cui tante persone riescono a sentire tutta questa bellezza e a riscoprire la meraviglia di guardare le stelle che per la fretta, e per la paura di inciamparsi, molti non guardano più".
C'è una malinconia serena nelle canzoni. Sembrano piccoli fiori che sbocciano, fragili e delicati, pieni di una poesia che fa meravigliare chi sa ancora guardarli. Lo conferma il tuo aspettare il ritorno della primavera, in pace, e il tuo essere in connessione con la natura.
"Cerco la serenità ed è una lotta perché ho i miei momenti bui. Ma ho imparato a fare le cose con più calma, a avere del tempo per me in cui suonare, curare il mio giardino, stare con la mia famiglia e portare avanti i miei progetti. Ci sono tante cose che reputo importanti al pari della musica che, per me, non è la cosa più importante da mettere al primo posto. Ce ne sono tante altre".
Francesca Barbero

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