Cascina Vecchia, il Comune cerca una via d’uscita con la valorizzazione
Una forma speciale di partenariato, con una concessione tra i 10 e i 30 anni in cambio di un investimento da 600mila euro. Ma il socio privato si troverà?Non è un partenariato pubblico-privato di tipo tradizionale, ma neanche una “classica” concessione sul modello della Tettoia Vinaj o degli ex Lavatoi. Quello che è il Comune di Cuneo ha in mente, per uscire dall’impasse su Cascina Vecchia, si chiama “concessione di valorizzazione”.
“Si tratta di una forma speciale di partenariato pubblico privato che permette di recuperare beni, senza che vengano spesi direttamente dei fondi pubblici e creando opportunità per il territorio” spiega l’assessore al Patrimonio Alessandro Spedale, presentando in commissione la proposta. Lo strumento, in origine demandato all’Agenzia del Demanio, a partire dal 2008 può essere esteso agli enti locali: “Lo scopo non è quello di ‘affittare il bene’. E il concessionario si fa carico delle spese per i lavori necessari” chiarisce l’assessore. Nel caso dello storico fabbricato di San Rocco Castagnaretta, considerato il più vecchio edificio di Cuneo e uno dei pochi esempi di architettura rurale del Quattrocento ancora esistenti, la spesa è ingente.

Partner privato cercasi: ma serve un piano finanziario
“L’investimento iniziale del privato dovrà essere almeno di 606.250 euro, come previsto dal progetto” si affretta a ricordare Spedale. Sono i soldi che avrebbe dovuto versare Open Baladin per avviare un’attività nell’ala più ampia del complesso, di fianco al “museo vivente” che avrebbe trovato invece posto nell’edificio più antico. Com’è noto non se n’è fatto nulla: il birrificio ha dato forfait e le due parti hanno sciolto consensualmente il contratto nel giugno scorso.
La valorizzazione dovrebbe servire appunto a riallacciare i fili di quel discorso con un nuovo interlocutore: ma chi? Su questo punto, l’amministrazione non ha preclusioni: “Parliamo di creatività ‘imprenditoriale’ in senso lato perché non stiamo escludendo alcun tipo di partner” spiega l’assessore alla Cultura Cristina Clerico. Un concetto ribadito dal collega di giunta: “Il bando può essere flessibile, incoraggiando il mercato a proporre soluzioni innovative e sostenibili per l’ente pubblico ma che l’ente pubblico potrebbe anche non concepire da sé. Si può pensare a soluzioni d’uso diverse da quelle convenzionali, in funzione dei desiderata del territorio”. Anche sui tempi c’è flessibilità: “La concessione ha un periodo lungo, la durata massima è di cinquant’anni: è utile anche per permettere all’operatore di ammortizzare i costi, che possono essere elevati. La nostra proposta è di mettere il limite fra i 10 e i 30 anni, lasciando però flessibilità”.
Quel che è davvero essenziale è la solidità economica della proposta: “Gli operatori interessati devono dimostrare con un piano economico finanziario, numeri alla mano, come l’investimento sarà coperto e come la gestione sarà sostenibile nel tempo”. Per questo il Comune prevede di richiedere anche un’asseverazione da parte di un ente terzo, dopo aver scelto il vincitore del bando in base al criterio dell’offerta economicamente vantaggiosa, valutata anche sul piano tecnico e temporale: “Il fatto di presentare il Pef permette di capire l’equilibrio tra le variabili chiave, l’investimento, la durata e il canone. A un investimento più oneroso corrisponderà una concessione più lunga e questo concorrerà a determinare anche il canone”. “È una scelta nella direzione della massima tutela dell’ente” spiega la dirigente del settore Patrimonio Anna Bertola, per la quale “è importante non limitare gli usi futuri, ma al contempo garantire un investimento ingente”. Dal punto di vista contrattuale, aggiunge, si farà attenzione alle garanzie: “Sono previsti indennizzi specifici in caso di recessi o di revoca della concessione per motivi non imputabili alla propria parte”.

L’opposizione è pessimista: “Avete già fallito”
I dubbi però non mancano, perlomeno tra le file dell’opposizione. “Ho le mie perplessità, anche sulla base dei contenziosi aperti tra Comune e società private” confida Ugo Sturlese (Cuneo per i Beni Comuni), rivendicando di essersi fatto una “cultura” sul tema: “Se il privato fallisce nel suo scopo, il Comune non può disinteressarsene. Sinceramente non credo che questo comune abbia la capacità di gestire uno strumento di questo tipo e se si imbarca in questa impresa la valutazione del rischio sarà fondamentale”.
Anche Giancarlo Boselli (Indipendenti) fa pesare i trascorsi: “Usciamo da un primo tentativo che è stato fallimentare, come in tutte le vicende di questo tipo ciò pesa”. L’apertura di credito, in linea di massima, c’è, ma improntata al principio “pagare moneta, vedere cammello”: “Non siamo in grado di esprimere il nostro parere questa sera: sicuramente lo strumento che proponete è interessante e in altre situazioni ha dimostrato di essere valido, sono però dell’idea che o entriamo nel dettaglio e capiamo come si cali nella nostra realtà, o i rischi ci sono. Avete già fatto una volta di testa vostra e vi siete schiantati contro il muro, guardate di non schiantarvi per la seconda volta”.

L’idea per il futuro: uno spazio concerti “stile Barolo”
In maggioranza l’indirizzo è più possibilista: “Mi pare ci sia più uno spaventarsi nel leggere la parola ‘partenariato’: l’ospedale era tutt’altro argomento. Qualunque concessione di bene pubblico è un ‘partenariato’ pubblico privato” fa presente Luca Paschiero. Per il futuro del bene, il capogruppo di Cuneo Civica ha una sua proposta: “Un bene di quel tipo può essere paragonato alla piazzetta del castello di Barolo, dove d’estate si fanno concerti anche ‘di nicchia’”. Nel frattempo, dice, “riparliamone a tempo debito ma il più in fretta possibile: quel posto ha bisogno di essere fruito dalla collettività”.
“I dubbi sulla gestione sono indipendenti dallo strumento che si utilizza” concorda Stefania D’Ulisse (Cuneo Solidale Democratica), invitando a non fasciarsi la testa prima di essersela rotta: “Penso che lo strumento della valorizzazione possa essere una buona soluzione. Non dimentichiamoci da dove partiamo: i 600mila euro potrebbero essere una spesa che il Comune non deve più sostenere, ovviamente è una cifra che non si può spalmare in due o tre anni”. Da Claudia Carli, capogruppo del Partito Democratico e frazionista, un grazie alla giunta “per avere agito in fretta”: “Il termine ‘valorizzazione’ mi fa ben sperare. Chiedo di tenere questo ‘faro acceso’, per la frazione è un valore che si sente moltissimo”.

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