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    CUNEO - Thursday 08 May 2025, 11:01

    Spaccio, tra repressione ed emergenza sociale: "Preoccupante non distinguere manovalanza e organizzatori"

    L'intervento della consigliera regionale Giulia Marro (AVS): "Pensiamo alla società che vogliamo costruire, non solo a quella che vogliamo distruggere"
    Spaccio, tra repressione ed emergenza sociale: "Preoccupante non distinguere manovalanza e organizzatori"
    "È ormai di un mese fa la notizia dell'operazione ‘Inside the City’ dei Carabinieri di Cuneo, che ha portato a numerosi arresti in città per spaccio di crack. Sicuramente questa situazione, ormai al limite, doveva essere affrontata, ma colpisce che ci siano voluti oltre due anni per fermare la manovalanza di una rete criminale ben più ampia. Sì, perché nonostante i giornali abbiano titolato ‘smantellata una rete di spaccio’, gran parte della rete è ancora attiva, con il rischio che si riorganizzi con nuove modalità e nuovi intermediari”. Si apre così il lungo intervento pubblicato sui social da Giulia Marro, consigliera regionale di Alleanza Verdi e Sinistra. Una riflessione sulla situazione e sulle dinamiche legate allo spaccio di stupefacenti a Cuneo e dintorni, che arriva a poche ore dall’annuncio di una nuova operazione della Polizia che ha portato alla scoperta di un vero e proprio laboratorio per “cucinare” il crack nel garage di un bovesano.
     
    Scrive Marro, tornando all’operazione “Inside the City”: “Nell’arresto sono state coinvolte venti persone di nazionalità straniera, di cui tredici irregolari e alcune senza fissa dimora. Tuttavia, non sono state fornite informazioni fondamentali, come il ruolo nella rete o quanti fossero anche consumatori di crack, una delle sostanze più devastanti in termini di dipendenza. Non distinguere tra manovalanza e organizzatori è preoccupante e poco trasparente. I volti delle persone fermate sono noti ai residenti del Quadrilatero, di piazza Boves, ai frequentatori del Parco Fresia e agli operatori dei servizi per i senza dimora. Per due anni hanno vissuto in strada, spostandosi sempre più spesso man mano che il fenomeno diventava evidente. Alcuni visibili, altri più nascosti, ma comunque presenti. In questi anni nella zona più critica, quella della stazione, sono state organizzate riunioni per cercare soluzioni, sono nati gruppi per la sicurezza, si è lavorato per ricostruire fiducia e avviare iniziative di cambiamento. Oggi il Quadrilatero sta meglio: si organizzano incontri, yoga, poesia, corsi di italiano. E nel frattempo, coloro che venivano percepiti come una minaccia sono stati arrestati. La repressione ha dato i suoi frutti, ma amari e tardivi, perché non si è riusciti a intervenire prima che molte di quelle persone diventassero completamente dipendenti, quindi fuori controllo. Mentre si cercava una soluzione, la tensione è aumentata e le loro vite si sono degradate. Ricordo un cartello in corso Giolitti con scritto ‘Qui si spaccia’ e la risposta di uno spacciatore: ‘Ma noi siamo anche consumatori e senza documenti, come facciamo?’. Come facciamo? È una domanda che non vorremmo, ma dobbiamo porci, anche per chi chiede più sicurezza e meno microcriminalità. Non possiamo illuderci che ora sia tutto risolto: le persone arrestate, molte dei quali migranti irregolari, tossicodipendenti e senza dimora, saranno presto sostituite. E per chi è in carcere, cosa succederà? Se entrano da tossicodipendenti, irregolari e senza progetti di reinserimento? Alcuni entreranno e poi usciranno dai CPR (Centri di Permanenza per Rimpatri), perché da lì si viene rimpatriati solo nel 14% dei casi. Torneranno nei giri da cui provengono, dopo aver subito altre violenze e conosciuto nuove droghe. Non ci sono speranze per loro, anche perché nessuno se ne vuole assumere la responsabilità. In questi due anni, si sono sentiti sempre più invincibili, e allo stesso tempo intrappolati nella morsa del crack, in una città priva di servizi di riduzione del danno: nessuna unità di strada professionale con educatori, personale sanitario e legale insieme (a parte un servizio di due ore alla settimana con solo educatori). A differenza di altre città piemontesi, qui non esiste un drop-in, uno spazio per ricevere supporto, informazioni sulle sostanze o verificarne la composizione. Per mancanza di servizi degli enti preposti e di tutte le istituzioni. Mi chiedo come abbiano reagito i lettori leggendo la notizia degli arresti. Come stanno vivendo questi primi mesi in carcere persone così fragili, sfiduciate, incattivite? Mi immagino il duro lavoro degli agenti di polizia penitenziaria che avranno a che fare con loro. Chi conosce quei luoghi sa che non sono rieducativi: si sopravvive. Da una parte e dall’altra. Si esulta per queste notizie, ma il sistema continua a generare nuove persone nella stessa condizione. Come ha detto il colonnello Piras dei Carabinieri, ‘la domanda di spaccio continua a essere elevata’. La nostra domanda, sottolineerei. Significa che qualcun altro arriverà. I piani alti della rete, non colpiti dall’indagine, arruoleranno nuova manovalanza o coinvolgeranno minorenni, come accade altrove. Lo ha dimostrato l’arresto del 3 aprile in corso Giolitti: un giovane con dosi pronte da spacciare. Sono stati anni di fatica, stress, rabbia e tentativi di trovare soluzioni condivise nel Quadrilatero e in tutta la città. Tentativi a cui ho partecipato. Ora la vera sfida è evitare che tutto si ripeta: è il momento di assumerci collettivamente la responsabilità per la sicurezza della nostra comunità. Questo significa pretendere servizi pubblici socio sanitari con professionisti per chi è spinto ai margini e permettere alle forze dell’ordine di concentrare le risorse sui vertici delle reti criminali. Pensiamo alla società che vogliamo costruire, non solo a quella che vogliamo distruggere”.
     
    Redazione
    luogo CUNEO
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    Tag:
    cuneo - spaccio - Giulia Marro
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