Morì nel cortile di un’azienda agricola a Revello, il titolare è accusato di omicidio colposo
Per la morte del 29enne maliano Moussa Dembelé, padre di due figlie, fu organizzata una protesta a Saluzzo. L’imputato sostiene che non fosse un dipendentePer le statistiche era il trentunesimo incidente mortale sul lavoro in provincia di Cuneo nell’anno 2022, a seguito del quale un comitato di braccianti organizzò una protesta a Saluzzo. Per la famiglia, rimasta in Mali, aveva un nome e un cognome: Moussa Dembelé, nato nel 1993, sposato e padre di due bambine piccole. In Italia dal 2014, risultava residente a Modena ma si era spostato nel Saluzzese, a Rifreddo.
La morte lo ha raggiunto il 10 luglio del 2022, nel cortile di un’azienda agricola tra Revello e l’abbazia di Staffarda. Ucciso da un macchinario desilatore che lo aveva “risucchiato” mentre, secondo la ricostruzione degli inquirenti, era intento a distribuire il mangime ai bovini lungo la rastrelliera: un violento trauma cranico alla base del capo e nessuna possibilità di salvezza. Quando i sanitari del 118 erano arrivati F.T., il titolare dell’azienda agricola, aveva già tentato di praticare le manovre salvavita sul giovane.
Oggi è a processo, con l’accusa di omicidio colposo: sostiene che il bracciante non fosse un suo dipendente, mentre secondo i riscontri raccolti dalla Procura sarebbe stato assunto, in nero, circa sei mesi prima. A deporre si è presentato un amico e vicino di casa, anche lui agricoltore, che fu il primo ad accorrere quella domenica mattina: “Ho visto che stava soccorrendo una persona distesa in terra, facendo la respirazione bocca a bocca. In un secondo momento ha iniziato a fargli il massaggio cardiaco” ricorda il testimone. L’infortunato, un uomo di colore che non conosceva, era incosciente. Di fianco a lui il macchinario da lavoro utilizzato per distribuire il mais agli animali: l’agricoltore dice di aver ricevuto una ricostruzione sommaria dell’accaduto dal suo collega.
Il luogotenente in congedo Giancarlo Usai, all’epoca al comando del Norm dei carabinieri di Saluzzo, afferma invece che l’uomo avrebbe aiutato l’attuale imputato a liberare Dembelé dal desilatore e spostarlo: “Quando siamo arrivati - dice - non abbiamo constatato lo spostamento, lo abbiamo appreso successivamente dalle dichiarazioni”. Il maresciallo Dario Scarcia, comandante del nucleo Ispettorato del Lavoro dei carabinieri, ha effettuato gli accertamenti in merito ai rapporti di lavoro: nella banca dati dell’Inps l’azienda revellese risultava priva di dipendenti a quell’epoca. Il defunto, identificato dalla carta d’identità, aveva indicato due date di nascita differenti ed era un “fantasma” dal punto di vista occupazionale. A Modena avrebbe dovuto ritirare il permesso di soggiorno.
Nel processo si è costituito parte civile il fratellastro, residente in Italia, anche a nome della vedova e delle due figlie che vivono tuttora in Mali. Circa la regolarità della loro costituzione ha eccepito la difesa, rilevando una possibile irregolarità nella procura speciale: “Dobbiamo contestualizzare - ha obiettato la legale di parte civile, avvocato Valentina Sandrone - la realtà di una ragazza vedova di poco più di vent’anni in un Paese in guerra civile. La legalizzazione deve essere fatta tramite un’ambasciata che in Mali non c’è, c’è soltanto un ufficio consolare collegato all’ambasciata nigeriana”. Sull’ammissione delle parti civili il giudice si è riservato di decidere. La prossima udienza è in calendario il 29 dicembre.
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