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DRONERO - Thursday 06 November 2025, 09:01

L’asino che dipingeva con la coda e altre storie incredibili dalla Parigi del ‘900

Al festival Ponte del Dialogo lo storico e divulgatore d’arte Jacopo Veneziani conduce il pubblico in un viaggio fantastico nella Ville Lumière, da Picasso a Modì
L’asino che dipingeva con la coda e altre storie incredibili dalla Parigi del ‘900
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C’è un periodo magico nella storia dell’arte che è racchiuso tra due date convenzionali, in un luogo - Parigi - che convenzionale non lo è mai stato. Quel ventennio è “il periodo d’oro dell’arte moderna”, come recita il sottotitolo di un libro di Jacopo Veneziani, La grande Parigi.

Classe 1994, un dottorato alla Sorbona e una passione irrefrenabile per l’arte, Veneziani è noto al grande pubblico soprattutto come ospite fisso di In altre parole, il programma di Massimo Gramellini su La7. A Dronero è arrivato come mattatore della quarta serata del festival Ponte del Dialogo, facendo registrare un “tutto esaurito” tra le seggiole del cinema teatro Iris.

La presentazione di La Grande Parigi al Ponte del Dialogo

Picasso e Montmartre, storia di una redenzione

La sua storia di Parigi è anche la storia della nascita del mito della Ville Lumière. Incomincia proprio nell’anno 1900, in autunno, quando un diciannovenne scende dal treno nella neo inaugurata Gare d’Orsay. È un pittore squattrinato, uno dei 50 milioni di visitatori che attraversano la capitale nell’anno dell’Esposizione Universale. Si chiama Pablo Picasso. A Parigi lo accompagna il suo migliore amico e compagno di scorribande barcellonesi, Carlos Casagemas Coll: durano poco.

La Parigi che li aveva attirati e in cui speravano di perdersi, come tanti altri, non esiste più. “Gli impressionisti avevano contribuito ad alimentare e diffondere nel mondo l’immagine di una Parigi moderna, all’avanguardia, piena di energie creative” ricorda Veneziani. Ma le loro leggendarie mostre non si tenevano più già dal 1886. Cézanne, il mito di quella generazione, faceva vita ritiratissima in Provenza. Toulouse-Lautrec, consumato dall’alcolismo, sarebbe morto un anno dopo. Parigi respinge i due spagnoli con troppi sogni in testa e nessun soldo in tasca. Casagemas a un certo punto raduna gli amici al ristorante L’Hippodrome e annuncia la volontà di andarsene. Spera che qualcuno lo trattenga, ma non succede: “Vedendo l’indifferenza della giovane di cui era innamorato, estrae una pistola e spara un colpo in direzione della ragazza che stramazza a terra, poi si uccide”.

Picasso piomba nella depressione. Dice di sentirsi travolto da “un fiume freddo, opaco e blu”: a partire da quel momento inizia a dipingere solo tele di una tristezza assoluta. Madri e bambini emaciati, mendicanti ai bordi delle strade, uomini ciechi, prostitute e carcerati. È il cosiddetto “periodo blu”, alcuni di quei quadri saranno tra i più ispirati capolavori del maestro. Ma all’epoca nessuno li avrebbe appesi in casa. Così Pablo batte cassa col padre e abbandona Parigi nel 1901: “È determinato a tornare, ma imponendosi sulla scena”. Tre anni più tardi è a Montmartre, in quello che allora non è nemmeno un quartiere parigino ma un villaggio al di là dei confini della cinta daziaria: “Una sorta di piccolo paradiso fiscale, dove dal Settecento i parigini salivano per bere tanto spendendo poco e finendo le serate nei postriboli”.

Stabilitosi al Bateau-Lavoir, palazzaccio di lamiere per cui transiteranno un’infinità di artisti, vi incontra Fernande Olivier, la sua prima compagna ufficiale: è lei stessa una pittrice e lui la costringe a smettere di dipingere, ma grazie a Fernande, Pablo ritrova gusto per la vita. Frequenta gli emigranti spagnoli, va al circo Medrano tutte le sere, inizia a dipingere quadri meno malinconici, quelli del “periodo rosa”. Uno di questi ritrae una ragazzina nuda con un cesto di fiori: Linda, un’adolescente che di giorno vende fiori e di notte il proprio corpo. In un pomeriggio del 1905 i fratelli Leo e Gertrude Stein lo notano nella vetrina di un rigattiere: Leo, critico e mercante d’arte, se ne innamora. Picasso si trova così invitato alle cene dei fratelli americani, popolate da milionari in cerca di nuovi artisti. A casa Stein scopre l’arte africana ed è una rivelazione: dipinge Les Demoiselles d’Avignon. “Siamo al ‘pianerottolo’ del cubismo, - spiega il giovane divulgatore - tanto che gli esperti vi hanno riconosciuto le varie maschere dei Paesi africani da cui Picasso ha preso ispirazione”.

La presentazione di La Grande Parigi al Ponte del Dialogo

“Anche un asino può essere caposcuola”

Negli anni di Montmartre è frequente che il pittore, spesso in bolletta, offra i suoi quadri in pagamento per i pasti. In cambio di un piatto di uova col prosciutto cede una tela al bizzarro padrone del Lapin Agile, un bistrot meta di tanti bohémiens. Il quadro ritrae un arlecchino triste e una ragazza con le fattezze di Germaine Pichot, la donna per cui Casagemas si era ucciso (sparando anche a lei, ma senza colpirla). Frédé Gérard, l’oste del Lapin Agile, lo vende per pochi soldi. Negli anni Ottanta verrà battuto per 40 milioni di dollari e aggiudicato al Met Museum di New York.

Gérard entra nella grande storia dell’arte anche in veste di proprietario di Lolo, un asino divenuto artista a causa della perfida burla architettata dal giornalista Roland Dorgelès. “È l’epoca - dice Veneziani - in cui Matisse incendia i ritratti di colori, i futuristi sconquassano il clima rappresentando il dinamismo e la modernità, di fronte al cubismo di Picasso e Braque un critico severo escogita la burla”. A Lolo viene legato un pennello sulla coda e offerta una carota. Il quadrupede festante inizia a scodinzolare e a muovere il pennello su una tela vergine: “L’operazione viene ripetuta più volte e alla fine ci si ritrova con un quadro dipinto da un asino, che esiste ancora ed è conservato in un museo, l’Espace Culturel Paul Bédu”.

Dorgelès e i suoi complici inventano un’identità per l’artista, chiamandolo Joachim-Raphaël Boronali, e per il quadro, intitolato Tramonto sull’Adriatico: “La tela viene spedita alla più importante mostra dell’epoca, il Salon d’Automne di Parigi: le recensioni commentano ‘l’audacia del gesto pittorico’. Solo a quel punto Dorgelès scrive la verità al quotidiano Le Matin, che esce col titolo ‘Nella Parigi di oggi anche un asino può essere caposcuola’”.

La presentazione di La Grande Parigi al Ponte del Dialogo

Modigliani, un incompreso a Montparnasse 

Montparnasse diventa il quartiere più gettonato di Parigi quando Montmartre, intorno agli anni Dieci, inizia a perdere la sua anima autentica e campagnola. È il quartiere degli scultori e Amedeo Modigliani vi arriva proprio con l’ambizione di fare lo scultore: si esercita anche sui blocchi di arenaria rubati dai cantieri, con la complicità di operai amici. Alcuni, lasciati incustoditi nella notte, sono calati l’indomani nelle fondamenta di un palazzo. Ecco perché, scherza lo storico dell’arte, “qualcuno, a Parigi, potrebbe avere dietro l’intonaco in cantina una scultura di Modigliani”.

A ispirare Modì è l’artista che a detta di Veneziani “incarna più di tutti lo spirito di quella Parigi”, Constantin Brâncuși: un romeno figlio di contadini transilvani, giunto a piedi da Bucarest. A lui Auguste Rodin, il più importante scultore dell’epoca, propone di diventare suo assistente. Lascia l’atelier un paio di settimane dopo: “Me ne vado - spiega - perché non cresce nulla all’ombra dei grandi alberi”. La sua scultura “sottrae materia” e Modigliani cerca di fare lo stesso quando si dà alla pittura. Ma resta un “invendibile”: nella Parigi del primo Novecento, dominata dalle correnti, il livornese è un escluso perché non etichettabile. La sua unica personale, organizzata dalla più formidabile talent scout di quei tempi, Berthe Weill, dura una giornata: il tempo che dal commissariato di polizia un agente arrivi per pretendere la rimozione dello scandaloso nudo di donna che Modigliani aveva realizzato.

“C’è chi sostiene che questa delusione sia stata l’inizio della fine di Modigliani, che inizia a bere sempre più e curarsi sempre di meno per la tubercolosi” osserva il narratore: “Una notte di gennaio del 1920, dopo una sbornia incredibile, durante una tempesta di neve si addormenta su una panchina e rimane lì fino all’alba. Tornato a casa si butta a letto con i sintomi della polmonite e da quel letto non si alzerà più”. Al fianco c’è la donna della sua vita, Jeanne Hébuterne, che si uccide poco dopo, incinta di nove mesi. “Con la morte di Modigliani, - conclude Veneziani - finisce la stagione d’oro della Parigi di inizio Novecento: è l’ultimo romantico, un artista incompreso morto all’alba di un decennio in cui cambierà ogni cosa”. Gli artisti, a partire da Picasso, sono diventati milionari e si è perso quel fervore bohémienne che aveva segnato i primordi del secolo: Parigi, o almeno quella Parigi, non esiste più.

La presentazione di La Grande Parigi al Ponte del Dialogo

Andrea Cascioli
luogo DRONERO
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Tag:
Dronero - arte - Festival - Libri - Parigi - Ponte del dialogo - Jacopo Veneziani
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