"Sapevamo già che vecchi e nuovi fascisti non amano il voto: c'era davvero bisogno di fare coming out?"
Il Coordinamento di Cuneo Possibile contro il comunicato diffuso e firmato da alcuni esponenti e sostenitori della destra cuneese in vista del referendumRiceviamo e pubblichiamo.
Abbiamo letto con stupore – e, lo confessiamo, anche con un certo imbarazzo per chi lo ha firmato – il comunicato apparso su diverse testate locali dal titolo “La sinistra vuole fare dei referendum una sfida politica? Non andiamo a votare”, siglato da diversi esponenti della destra estrema cuneese, tra cui figurano, tra l'altro, numerosi membri dell'Associazione Culturale Panta Rei, già nota per proporre la normalizzazione storica e la digestione democratica della tradizione politica fascista.
Un comunicato imbarazzante, sì. Perché si prova imbarazzo quando, nel 2025, c’è ancora chi pensa che il modo migliore per affrontare il dissenso democratico sia nascondersi dietro l’astensione. E si prova imbarazzo soprattutto quando si tenta di spacciare per “atto di responsabilità civica” quella che, più banalmente, è solo una miserabile fuga dal confronto.
I referendum dell’8 e 9 giugno non sono una “provocazione della sinistra”, come maldestramente si afferma. Sono il risultato di un’ampia mobilitazione trasversale, politica, sindacale e civica, che ha raccolto milioni di firme su temi che non riguardano i palazzi, ma le vite reali: lavoro, cittadinanza, diritti. Dire che questi quesiti “attaccano il governo” significa promuovere una logica autoritaria, non democratica. È il riflesso pavloviano di chi non riesce più a distinguere tra Stato e partito, tra ideali e propaganda.
Nel comunicato si riserva poi un passaggio tanto arrogante quanto fintamente disinformato alla proposta sulla cittadinanza. Secondo i firmatari, ridurre da dieci a cinque anni il percorso per diventare cittadini italiani sarebbe una “leva elettorale”. C’è da chiedersi se chi scrive queste cose viva nel presente o in qualche eco-camera polemica su Facebook. Migliaia di persone vivono, lavorano, pagano le tasse da anni in Italia, mandano i figli a scuola, parlano italiano meglio di molti parlamentari, ma restano invisibili per lo Stato. Chiedere che diventino cittadini non è un favore politico: è il minimo sindacale della civiltà. Derubricare tutto questo a furbizia elettorale non è solo offensivo, è indecente. D'altronde a destra stanno provando a convincere l’opinione pubblica che il referendum sulla cittadinanza voglia "regalare" un diritto. Vorrebbero trasformare la cittadinanza in un premio dato sulla base di un giudizio morale, come se una giuria popolare, investita di chissà quale potere superiore, potesse decidere chi è “meritevole” e chi no. È una visione inquietante, sbagliata e pericolosa.
Il cuore del comunicato, però, è l’invito all’astensione. Ed è qui che si tocca il fondo. Quando si rinuncia al confronto, quando si preferisce disertare il dibattito invece di entrarci, si sta dichiarando una cosa sola: “Temiamo i cittadini”. L’astensione non è un atto neutrale, ma un sabotaggio cosciente. È evidente che alla destra fa comodo un paese spaventato, diviso, impoverito nei diritti. Hanno bisogno del disagio per raccattare consenso. Hanno bisogno della paura, che non fanno altro che alimentare. Non vogliono una società più giusta e inclusiva, perché non saprebbero più dove andare a prendere i voti. E allora mistificano, confondono, gridano sguaiati all’allarme perenne.
Chissà se l'8 e il 9 giugno verrà raggiunto il quorum, come noi speriamo. Certo che a sabotarlo ci si è messo anche il Presidente del Senato, che come alcuni nostrani pantareini, non ha mai nascosto la sua nostalgia per il Ventennio. Ma in fondo, di che ci lamentiamo? Lo sapevamo già che i vecchi e i nuovi fascisti non amano il voto: c'era davvero bisogno di fare coming out?
Il Coordinamento di Cuneo Possibile
c.s.

cuneo possibile
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